Viaggiatori invisibili
No borders. Flusso di coscienza
di Mauro Caputo
Il documentario del cineasta friulano racconta, aggirandosi lungo i sentieri sul confine tra Italia e Slovenia, il dramma dei migranti che entrano in Europa attraverso la rotta balcanica.
Esistono viaggiatori che nessuno vuole vedere e che non desiderano mostrarsi. Esistono viaggiatori che non percorrono le strade più conosciute e che per spostarsi non usano i mezzi di trasporto più comodi. Esistono viaggiatori che preferiscono muoversi a piedi di notte nei boschi sui monti al confine fra l’Italia e la Slovenia. Esistono viaggiatori che quando attraversano il confine per entrare in Europa abbandonano tutto il bagaglio che li ha accompagnati fino a quel momento, tutte le cose che potrebbero riportarli al punto di partenza, tutto ciò che potrebbe rivelare la loro identità. Esistono viaggiatori che, come l’acqua dei fiumi, non possono più tornare indietro ma solo avanzare verso una meta incerta e pericolosa, ma inevitabile perché, come l’acqua dei fiumi, se incontrano un ostacolo troveranno il modo di aggirarlo. E se il modo non si trova la morte è una compagna di viaggio sempre presente, una possibilità da mettere in conto e forse nemmeno la peggiore se l’alternativa è morire di fame o sotto le bombe di una delle tante guerre che insanguinano il pianeta. Questi viaggiatori sono i migranti che percorrono ogni giorno, ogni notte, da anni i confini di Grecia, Montenegro, Macedonia, Bosnia, Serbia, Croazia, Slovenia, che affrontano il “gioco”, “The Game”, il percorso ad ostacoli lungo la rotta balcanica per entrare in Europa. Si stima che siano state oltre 800.000 le persone che hanno utilizzato questo percorso faticoso, difficile e pericoloso per fuggire dalle tante disgrazie che affliggono i paesi che stanno a sud del ricco Occidente.
“No borders. Flusso di coscienza”, uscito quest’anno, ma girato fra il 2019 e il 2020, racconta l’odissea di questi migranti utilizzando un punto di vista inusuale, tutto interiore, un flusso di coscienza appunto (la bella voce fuori campo dell’attore Adriano Giraldi e le musiche fortemente evocative del compositore Francesco Morosini), che accompagna le immagini dei sentieri segnati dalle tracce, dagli oggetti di uso comune, dai vestiti e dai documenti abbandonati da questi invisibili viaggiatori. Oggetti e documenti che raccontano meglio di tanta sociologia spicciola le provenienze e le vite individuali e collettive di questo anonimo esercito di persone in fuga. Del resto, al di là dei drammi legati alla migrazione, si tratta di raccontare una presenza che in realtà è un’assenza. Come afferma il sociologo algerino Abdelmalek Sayad, citato nel libro con cui viene distribuito il documentario, “La porta d’Europa. Il confine italiano della rotta balcanica”, la migrazione non è un fenomeno solo economico o demografico. L’esperienza della migrazione è segnata da una doppia assenza, dal Paese in cui il migrante è nato e nel Paese in cui sceglie di vivere. “Una è l’assenza dell’immigrato dalla propria patria, l’altra è l’assenza dell’emigrato nelle cosiddette “società d’accoglienza”, nelle quali è incorporato ed escluso al tempo stesso. (…) La presenza dell’immigrato è sempre una presenza segnata dall’incompletezza, è colpevole in sé stessa. E’ una presenza fuori posto in tutti i sensi del termine”.
Il cineasta Mauro Caputo e la sua troupe hanno girato per un anno e mezzo lungo questi sentieri, attraversando villaggi di confine e boschi che in altri tempi sono stati testimoni di altri passaggi e altri scambi fra i popoli che li hanno vissuti, cercando di ricostruire storie e percorsi dei migranti, raccogliendo oggetti e documenti, unici testimoni di queste identità abbandonate. “La parola d’ordine è “ricominciare daccapo”. - racconta la voce dell’attore Adriano Giraldi - “In quelle radure avviene una sorta di rito individuale: i migranti si rendono invisibili, senza nulla che possa farli identificare. All’apparenza si azzera tutto: la propria origine, i luoghi in cui si è transitasti. Un nuovo spazio e un nuovo tempo cominciano in quei boschi (…). L’identità di ognuno, tenuta stretta per tutti quei chilometri (…) adesso, al traguardo illusorio di quell’invisibile porta d’Europa, è da dimenticare, da nascondere agli sguardi che li incroceranno nel lungo cammino che ancora li attende”. Ma grazie ai nomi delle persone lasciati nei documenti abbandonati, raccolti dal regista, è come se li avessimo incontrati e conosciuti. Come se avessimo conosciuto le loro storie in cammino dentro gli zaini e le scarpe rotte.
“No borders. Flusso di coscienza” non è però solo un documentario che cerca di raccontare le storie e la vita dei tanti Omar, Mohamed, Azra che hanno percorso quei sentieri, immaginando i paesi da cui provengono, lontani ma così vicini, vicini a tal punto da far pensare che Trieste non confina solo con la Slovenia, ma anche con la Somalia, l’Afghanistan, l’Iran, l’Iraq, la Siria, l’Eritrea, la Tunisia, il Pakistan, il Marocco, il Mali, la Turchia…Come in uno specchio in cui lo spettatore riconosce le proprie paure e misura la propria indifferenza al dolore altrui, anche noi occidentali siamo tirati in causa perché viviamo a metà strada tra la nostra paura e la curiosità per questi destini diversi che improvvisamente ci si palesano senza bussare alla porta. Fin dall’inizio il documentario di Mauro Caputo mette bene in evidenza i sentimenti in cui tutti ci dibattiamo quando entriamo in contatto con queste persone: la paura e la curiosità. “La paura è uno stato emotivo di forte preoccupazione, di insicurezza e di angoscia che si avverte in presenza o al pensiero di pericoli reali o immaginari. La paura è sempre stata uno strumento di potere, usata spesso come arma politica e di propaganda. (…) La curiosità è un istinto che nasce dal desiderio e dal piacere di accrescere il proprio sapere. E’ la curiosità che ci ha portato in questi luoghi, giorno dopo giorno, tenacemente, come il fluire del tempo, della storia, dell’acqua del Danubio che percorre la lunga via d’Europa, attraversandone liberamente i confini. Perché la curiosità è l’antidoto alla paura. E’ la strada che porta alla conoscenza”. Questi sono i sentimenti che ci definiscono come esseri umani e che definiscono la nostra posizione, il nostro ruolo, il nostro punto di vista, il nostro sguardo rispetto all’umanità dolente, la dimensione etica evocata dallo scrittore Giorgio Pressburger, fuggito nel ’56 dall’Ungheria in Italia con in tasca solo i pochi soldi fornitigli dalla Croce Rossa, a cui il film è dedicato: “Noi non siamo esseri umani se non prendiamo su di noi la responsabilità di un altro uomo e attraverso questo uomo di tutta l’umanità. Appena appare un volto sull’orizzonte della nostra coscienza di quel volto ne siamo responsabili, anche senza sapere nulla di lui. Punto essenziale dell’esistenza di ognuno o di noi è l’assunzione di questa responsabilità”.
Marcello Cella
No borders. Flusso di coscienza
Regia: Mauro Caputo
Direttore della fotografia: Daniele Trani
Produttori esecutivi: Federica Crevatin e Debora Desio
Musiche e sound design: Francesco Morosini
Montaggio video: Mattia Palomba
Produzione: coproduzione VOX Produzioni e A_LAB Production
Anno di realizzazione: 2020
durata: 65 minuti
La porta d’Europa. Il confine italiano della rotta balcanica di Mauro Caputo, Donatella Ferrario, Marietti editore, 2021
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