sabato 16 dicembre 2023



 Vivere dentro un paradosso


Il documentario “Kosovo vs Kosovo” di Valeria Bassan e Andrea Legni racconta cosa vuol dire vivere dentro un’enclave, costruzione artificiale e tragicomica nata all’interno di uno dei tanti paradossi nazionalisti che si vanno espandendo in Europa. All’origine del nuovo romanzo della scrittrice di origine bosniaca Elvira Mujčić, “La buona condotta”.



“Nel cortile dinanzi alla casa senza intonaco due bambine si tiravano i capelli con una violenza tale da far piegare le loro testoline pressoché a terra.

“Molla”, sibilavano all’unisono.

“Cosa succede qua? Chi ha iniziato?”, gridò una donna dalla porta di casa.

“Lei”, esclamarono entrambe.

La donna si avvicinò, rifilò una sberla a ciascuna e spedì una in un angolo e l’altra in quello opposto. Strisciando con fermezza un piede sull’erba secca disegnò un confine appena visibile.

“Ora giocherete da sole”, disse, piazzò a terra la pentola che teneva tra le mani, agguantò una sedia e si sedette esattamente sulla linea tracciata a fare da vedetta.

“Tanto io con lei non ci voglio giocare mai più”.

“Mamma, mamma, dille di andare a casa sua”.

La donna si portò in grembo la pentola e, senza badare a loro, si mise a pelare. Le due attaccabrighe si girarono di spalle, con broncio risentito iniziarono a fare torte di fango senza guardarsi.

Non resistettero a lungo.

“Io ho fatto la torta a forma di fiore e tu no”.

“Non è vero, non ci credo!”.

“Tu come l’hai fatta?”.

“Non te lo dico”.

“Mamma, mamma, la mandi via?”.

La donna continuò a pelare le patate con una dedizione che raramente si riserva a quest’attività.

“Ti faccio vedere la mia torta, se tu prima mi fai vedere la tua”.

La bambina dai capelli corti prese il suo miscuglio molle a forma di stella e si incamminò verso l’amica.

“Ehi! Ehi! Cosa ho detto? Torna indietro”, si levò la voce della donna, mentre la bambina varcava il confine del territorio assegnatole.

“Voglio solo mostrarle la mia torta”, sussurrò sgranando gli occhi e fingendo innocenza.

“Ho detto di no”.

“Mamma, dai, ti prego, voglio solo vedere come l’ha fatta”, implorò l’altra bambina.

“Finite sempre per picchiarvi”.

“No, non lo faremo, giuro, giuro”, gridarono all’unisono.

La donna sospirò, annuì e si diresse verso casa, lasciandosi dietro la sedia vuota a fare da guardia alla frontiera.

Le bambine corsero l’una verso l’altra, pronte a confabulare come pasticcere esperte al cospetto delle loro torte di terriccio. Ripresero ad inseguirsi per il giardino e c’era da scommetterci che nel giro di poco sarebbero finite a tirarsi i capelli di nuovo.

Miroslav scosse la testa e si spostò dalla finestra: la fotografia perfetta di questo paese. E se i confini li tracciassimo unicamente per poter desiderare l’altro?”.



Con questo inizio incredibilmente significativo Elvira Mujčić, scrittrice di origine bosniaca, apre il suo ultimo romanzo, “La buona condotta”, che racconta la storia di Miroslav, un sindaco di un piccolo paese del Kosovo, eletto con i voti dalla maggioranza sia dei cittadini di origine serba, che da quelli di origine albanese che si vede affiancare da Belgrado, che non riconosce le istituzioni kosovare, un altro sindaco serbo, ma che non ha mai vissuto in quella piccola enclave. L’origine della storia paradossale raccontata nel romanzo risiede però in un documentario che due registi italiani, Valerio Bassan e Andrea Legni, hanno girato nel 2012 in Kosovo, intitolato per l’appunto “Kosovo vs Kosovo”. All’interno del documentario, indipendente e autoprodotto, girato in alcune enclaves serbe all’interno del Kosovo a maggioranza albanese, fra le altre si racconta anche la vicenda tragicomica dei due sindaci di Krokot, un paese non lontano dal confine con la Macedonia, uno eletto secondo le regole del Kosovo, e un altro eletto secondo le regole di Belgrado. Ma cosa vuol dire vivere dentro un’enclave? Se andiamo a cercare il termine sul dizionario troviamo al seguente definizione: “Territorio completamente chiuso entro i confini di uno stato diverso da quello cui politicamente o linguisticamente appartiene”. Ed è esattamente quello che accade ai territori abitati dalle minoranze serbe all’interno del Kosovo albanese, resosi unilateralmente indipendente nel 2008, ma riconosciuto ancora da pochi altri paesi al mondo, dopo un conflitto nato all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso con le autorità jugoslave e sviluppatosi in varie fasi, fra le quali la più cruenta nel 1999, quando, in seguito alle repressioni attuate da esercito e paramilitari serbi contro gli albanesi, ci fu l’intervento militare della NATO che portò ad una separazione di fatto fra le due componenti etniche del Kosovo, quella albanese e quella serba. Oggi in Kosovo, oltre alla zona a nord, a maggioranza serba e di fatto unita alla madre patria, esistono circa 240 enclave serbe all’interno del territorio kosovaro, con effetti istituzionali ed esistenziali paradossali. 



“Le zone abitate dai serbi all’interno del Kosovo formano un vero e proprio Stato dentro lo Stato” - affermano gli autori del documentario - “Piccole enclave monoetniche sulle quali il governo di Pristina non ha alcuna autorità. Gli abitanti di queste aree votano sindaci riconosciuti solo da loro stessi, utilizzano una propria moneta, hanno infrastrutture, scuole, ospedali gestiti direttamente da Belgrado. Ma vivono senza libertà di movimento e senza lavoro, evitando di addentrarsi nelle città albanesi per paura di subire aggressioni, Una situazione che ha spinto oltre duecentomila serbi a lasciare il Kosovo, una realtà dimenticata dai media occidentali”. Il documentario di Bassan e Legni attraversa queste enclaves, questi piccoli paesi rurali, queste realtà periferiche aggrappate alla propria storia, al proprio sentimento nazionale, mentre i paesaggi che scorrono davanti alle telecamere dei due cineasti raccontano una realtà fatta di povertà, di case distrutte e abbandonate, di vite vissute nella paura di ciò che si ha intorno, di giovani senza prospettiva e senza lavoro che sognano solo di fuggire da questi luoghi contrassegnati da bandiere serbe, targhe serbe, negozi e insegne in cirillico e che senza il sostegno del governo di Belgrado rischierebbero di scomparire per sempre. Emblematico poi il racconto quando si concentra sulla città di Mitrovica, nel Kosovo del nord, una città divisa in due dal fiume Ibar e da un ponte presidiato dalle forze dell’ONU e che divide la comunità albanese a sud da quella serba a nord. Una specie di Berlino dei Balcani, con un senso tristissimo di deja vu che rimanda ad un’epoca, quella della Guerra Fredda, che si pensava di aver archiviato per sempre, almeno in Europa, ma che così non è.



Kosovo vs Kosovo” non fa sconti nemmeno alla cooperazione internazionale, corresponsabile del disastro economico e sociale del Kosovo. “La cooperazione ha speso tanti miliardi per assistenza, cibo, case, ma non per ricostruire le strutture. A Pec c’era una fabbrica che riforniva di birra tutta la Jugoslavia. Ora ha cambiato nome, si chiama Peja, in albanese, ci lavorano solo 50 operai dove prima ce n’erano 600. E così la fabbrica di biciclette e quella delle componenti della Zastava, l’auto jugoslava, non esistono più. La disoccupazione è al 70% e fra i serbi è ancora più alta”. Un disastro in cui si sono inserite le mafie che qui prosperano con i loro traffici illeciti che attraversano tutta l’Europa. Quello che si intuisce da questo documentario così poco conosciuto su una realtà per lo più ignorata dal resto d’Europa è che questa situazione non riguarda solo il Kosovo e sintomi micro-nazionalistici sono ben presenti in tutto il nostro continente rappresentando un rischio per la convivenza civile dei popoli e per la democrazia. Si tratta di un’esistenza paradossale, come racconta un cittadino serbo nel finale del documentario, una vita divisa in due, due identità, due carte di identità, due comuni, due sindaci, due di tutto e nessuna prospettiva realistica di un futuro condiviso mentre tutto intorno sembra degradarsi irreversibilmente. Una realtà immobile che nell’esaltazione della propria appartenenza nazionale nasconde una inconfessata paura dell’altro. 



“Chiusi a chiave in pochi chilometri quadrati si perde la capacità di porsi domande, di riflettere su sé stessi e la propria condizione. Sei chiuso lì, non vai da nessuna parte e ti sembra normale che sia così, ti dimentichi di domandarti se esiste un’altra maniera di vivere, non sai nulla del mondo e non sapendo nulla, non ti chiedi nulla. E avanti così, non se ne esce” (da “
La buona condotta” di Elvira Mujčić, Crocetti Editore, 2023).



Marcello Cella

Kosovo versus Kosovo

di Valerio Bassan e Andrea Legni

Italia, 2012

Durata. 52’

Web: 

https://openddb.it/film/kosovo-versus-kosovo/


https://www.youtube.com/watch?v=JrdhlyVPEsA&t=106s


https://www.facebook.com/KosovoVersusKosovo/?locale=it_IT


La buona condotta di Elvira Mujčić

https://www.crocettieditore.it/narrativa/la-buona-condotta/




Nessun commento:

Posta un commento