domenica 8 gennaio 2012

Dossier Coppola


I seguenti articoli compariranno sul prossimo numero della rivista specializzata "Carte di Cinema" in un dossier tematico dedicato al regista italo-americano Francis Ford Coppola.

Buttati Bernardo
Titolo originale: You're a Big Boy Now; regia: Francis Ford Coppola; soggetto: David Benedictus; sceneggiatura: Francis Ford Coppola; fotografia: Andrew Laszlo; montaggio: Aram Avakian; musiche: Robert Prince; scenografia: Vassilis Photopoulos e Marvin March; interpreti e personaggi: Peter Kastner (Bernardo Chanticleer), Geraldine Page (Margery Chanticleer), Elizabeth Hartman (Barbara Darling), Rip Torn (I. H. Chanticleer), Michael Dunn (Richard Mudd), Tony Bill (Raef del Grado), Julie Harris (Miss Nora Thing), Karen Black (Amy Partlett); produzione: Seven Arts Pictures; origine: USA; anno: 1966; durata: 96'.

New York, anni sessanta. Bernardo è un diciannovenne timido, sensibile, imbranato e succube dei genitori. Lavora come impiegato nella biblioteca del padre, che, non contento della sua condotta lavorativa, decide di mandarlo a vivere da solo in una camera ammobiliata. Ciò non serve però ad allontanare le attenzioni ossessive della madre che continua a controllarlo
attraverso la proprietaria dell'appartamento in cui vive il figlio. Bernardo, ancora vergine, perde la testa per la stravagante Barbara Darlyn, non rendendosi conto delle attenzioni di Amy, segretaria del padre. Scrive perciò una lettera a Barbara che lo invita a passare in camerino dopo lo spettacolo a teatro. Colpita dalla particolarità di Bernardo lo induce a trasferirsi da lei, trattandolo però come suna marionetta nelle sue mani. Quindi, dopo aver scoperto il suo “tradimento” con un suo collega, Bernardo esplode e cerca di bruciare l'antica Bibbia conservata gelosamente dal padre in biblioteca come atto di rivolta contro tutto e tutti. Passa la notte in galera ed esce solo grazie ad Amy, che paga la cauzione. Ormai disilluso ma lucido Bernardo decide perciò di far coppia con lei.

“Buttati Bernardo”, infelice traduzione del ben più significativo titolo americano “You're a Big Boy Now” (“Tu sei un ragazzo grande ora”), è il secondo film del Coppola giovane studente di cinema che lo presentò come tesi per il master alla UCLA. Il film indubbiamente risente della giovinezza del suo autore e delle sue ancora acerbe cognizioni cinematografiche, ma sarebbe sbagliato sottovalutarlo sia sotto l'aspetto linguistico che su quello storico. Infatti “Buttati Bernardo” attraverso le vicende tragicomiche del suo protagonista, Bernard, un giovane nevrotico e contraddittorio, Coppola comincia a tratteggiare i colori di un'epoca e di una società che cominciano ad essere percorse dalle prime crepe nel muro apparentemente solido e brillante dei suoi valori in espansione. Mentre sul piano autoriale emergono alcuni temi che attraverseranno poi tutta la futura cinematografia del regista italo-americano. Primo fra tutti quello della famiglia, particolarmente avvertito da Coppola a causa della sua origine, che diventerà da qui in avanti una specie di cortina di tornasole per analizzare l'evoluzione dei rapporti individuali e collettivi all'interno della società americana. In effetti le prime cose che risaltano sono proprio l'irrompere sulla scena del film e della storia di un mondo nuovo e dei personaggi che lo incarnano (letteralmente: si veda la simbolica, turbinosa, entrata in scena sui titoli di testa della stravagante e coloratissima Barbara Darling nell'austera e silenziosa sala lettura della biblioteca in cui lavora Bernard, che costringe la m.d.p., dopo una lunga, lenta, carrellata in avanti fra i tavoli dello stanzone ad un'improvvisa accelerazione all'indietro, come una specie di retromarcia da parte di un mondo chiuso, libresco e lontano da una realtà in vertiginosa evoluzione) e il sentimento profondo, malinconico nonostante l'apparente brillantezza dell'intreccio narrativo del film, di una concezione familiare che inizia a sgretolarsi nella ripetitività di situazioni sempre più vuote e prive di senso (incarnate dai genitori di Bernard), astratte fino alla comicità, che lasciano il protagonista e lo spettatore con la sensazione del naufrago in fuga da un mondo di relazioni in via di scomparsa, ma che nello stesso tempo si continua a vagheggiare e a ricercare come una specie di età dell'oro irrimediabilmente perduta. Un senso di tristezza che le passeggiate frenetiche di Bernard alla scoperta della metropoli notturna e della libertà sessuale, con i suoi colori rutilanti, i ritmi rockeggianti della sua colonna sonora non riescono a dileguare. Il mondo del giovane protagonista del film, il ritmo sincopato e anti- naturalistico del suo montaggio jazz, con frequenti citazioni linguistiche, estetiche e narrative dagli amati autori della Nouvelle Vague francese, il suo delineare nuovi stili di vita all'insegna della libertà e del desiderio di scoperta e sperimentazione più sfrenati non attenuano perciò quel senso vago e insinuante di vuoto e di solitudine, di minaccia incombente su esistenze individuali e collettive che stanno progressivamente perdendo la propria innocenza sotto i colpi di una realtà che mostra sempre più i suoi colori cupi. Non inganni il finale apparentemente rassicurante del film, il ritorno di Bernard all'interno della “norma” sociale. Di lì a poco quel piccolo mondo borghese sarà spazzato via dal suo lato più oscuro e violento, quello della guerra, del crimine e della disgregazione sociale e familiare.

I ragazzi della 56^ strada
Titolo originale: The Outsiders; regia: Francis Ford Coppola; soggetto: S. E. Hinton; sceneggiatura: Kathleen Rowell; produttori: Gray Frederickson, Fred Roos; fotografia: Stephen H. Burum; montaggio: Anne Goursaud; musiche: Carmine Coppola; scenografia: Dean Tavoularis; interpreti e personaggi: C. Thomas Howell (Ponyboy), Ralph Macchio (Johnny), Matt Dillon (Dallas), Patrick Swayze (Darrel), Rob Lowe (Sodapop), Emilio Estevez (Two-Bit), Tom Cruise (Steve), Glenn Withrow (Tim), Diane Lane (Cherry), Leif Garrett (Bob), Michelle Meyrink (Marcia), Tom Waits (Buck); origine: USA; anno: 1983; durata: 91'.

Tulsa, anni sessanta: i Greasers e i Socials sono due bande rivali. I primi sono poveri e abitano in periferia, i secondi invece sono ricchi e risiedono in quartieri borghesi. Ponyboy, Johnny e Dallas sono tre Greasers (nome riferito alla brillantina usata per acconciare i capelli) e i primi due, dopo essere stati aggrediti da alcuni Socials, ne ammazzano uno. Aiutati da Dallas, capo della banda, si nascondono in una chiesa abbandonata attendendo che le acque si calmino. Dopo una settimana di stenti, ma anche di sogni, i ragazzi decidono di costituirsi. Dallas cerca di dissuaderli portandoli a pranzo in una cittadina vicina al loro nascondiglio. Tornati però alla chiesa la trovano che brucia con alcuni bambini intrappolati dalle fiamme. I ragazzi riescono a salvare i bambini, ma in seguito alle ustioni riportate durante il salvataggio Johnny muore, mentre Dallas, disperato, si fa uccidere dai poliziotti. Ponyboy viene assolto dall'accusa di omicidio. Il suo diario racconterà il suo struggente abbandono dal mondo delle bande giovanili.

Il dittico composto da questo film e dal contemporaneo “Rumble fish” costituisce una sorta di manifesto esistenziale e autoriale di Coppola. Infatti il dualismo dialettico fra cinema commerciale e cinema di ricerca, fra necessità materiali e sperimentazione artistica, fra “realtà” e “finzione”, fra le costrizioni produttive e narrative di Hollywood e l'aspirazione alla maggiore libertà produttiva ed espressiva degli autori del cinema europeo, che ha sempre permeato la cinematografia del regista italo- americano sembra raggiungere con questi due film il punto più alto. Una produzione che però non ha niente di astratto e di intellettualistico, ma che si incarna in modo particolarmente efficace nella struttura del racconto, a delineare e a rendere possibili e percorribili non soltanto due modi diversi di concepire il lavoro cinematografico, ma proprio due visioni diverse del mondo e delle relazioni personali e sociali vissute e rappresentate dai personaggi del film. Il soggetto da cui trae spunto Coppola per questi due film sembra aderire perfettamente a questa idea: due romanzi scritti nei primi anni Settanta dalla stessa scrittrice, l'americana Susan Hinton, all'epoca poco più che adolescente, con personaggi molto simili, ambientati all'interno di un medesimo coté sociale, quello delle bande giovanili delle periferie urbane, e con uno svolgimento narrativo ed uno stile altrettanto somiglianti. La differenza sta nello stile che Coppola impone ai due film. In particolare, “The Outsiders”, è quello che all'apparenza maggiormente si conforma ai canoni stilistici e narrativi hollywoodiani, con una modalità di racconto molto classica, una specie di “Via col vento” adolescenziale (romanzo peraltro amato dai protagonisti della storia, Ponyboy e Johnny, che, durante la latitanza, insieme alle cibarie ne acquistano una copia nello stesso negozio), come affermato da alcuni critici, in cui i conflitti generazionali e sociali toccati dalla storia si smussano in una messa in scena elegante e suggestiva che ne attenua la dirompenza contenutistica in un'atmosfera nostalgica e melodrammatica al tempo stesso. Torna onnipresente anche in questo film il tema della famiglia, soprattutto della famiglia vissuta come “assenza” o “perdita” di un punto di riferimento valoriale ed esistenziale (Johnny subisce continui maltrattamenti dal padre, Ponyboy vive orfano con il fratello più grande, Dallas e gli altri ragazzi della banda vivono di espedienti in strada come se la loro famiglia non esistesse o non ci fosse più) che i protagonisti del film cercano di ricreare nello spirito di gruppo, nel rapporto violento e conflittuale con la società e con gli appartenenti agli strati sociali più fortunati e abbienti. Ma è un desiderio, quello di un surrogato 'virile' della famiglia, destinato al fallimento o alla morte. Solo le pagine del diario postumo di Ponyboy restituisce dignità, orgoglio e tenerezza ad un mondo di giovani “pesci combattenti” votati all'autodistruzione per mancanza di speranze e di itinerari esistenziali percorribili. Niente è stato costruito per questi giovani, oltre ad un destino di marginalità consumistica vuota di valori, e niente loro cercano di costruire per combattere il senso angoscioso e rabbioso di estraneità che li attanaglia. Proprio come i protagonisti del film gemello, “Rumble fish”.

Rusty il selvaggio
Titolo originale: Rumble Fish; regia: Francis Ford Coppola; soggetto: S.E. Hinton; sceneggiatura: Francis Ford Coppola, S.E. Hinton; fotografia: Stephen H. Burum; montaggio: Barry Malkin; musiche: Stewart Copeland; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Marjorie Bowers; trucco: Susan Mills, Jeff Kennemore; interpreti e personaggi: Matt Dillon (Rusty James), Mickey Rourke ("Quello della moto"), Diane Lane (Patty), Vincent Spano (Steve), Diana Scarwid (Cassandra), Dennis Hopper (padre), Nicolas Cage (Smokey), Chris Penn (B.J. Jackson), Laurence Fishburne (Midget), Tom Waits (Bennie), Sofia Coppola (Diana); origine: USA; anno: 1983; durata: 94'.

Tulsa, Oklahoma, anni Sessanta. Rusty James, un sedicenne irrequieto e vitalissimo, scarso negli studi, ma capo di una piccola banda di coetanei, implicata in risse e sfide notturne, vive con il padre, ex avvocato fallito e alcoolizzato, abbandonato dalla moglie, ed ha una vera adorazione per il fratello maggiore, partito con la sua moto per la California ed ex "leader" carismatico di un'altra banda. Durante l'ennesima rissa, "Motorcycle boy" arriva per rientrare "in famiglia": è deluso dalle esperienze fatte, malgrado i suoi 21 anni. Rusty è anche innamorato di una ragazza, Patty, che presto lo abbandona per un suo amico, anch'esso componente della banda di Rusty. Quando viene ferito durante una rissa, si attacca alla bottiglia, continua la sua vita di strada, più spavalda che cattiva, e chiede insistentemente al padre ed al fratello notizie della madre lontana e perduta. Una notte, il fratello penetra in un negozio di animali, per liberare i "pesci da combattimento" (Rumble fish) siamesi che, sostiene lui, si uccidono l'un l'altro solo perchè vivono in cattività: se fossero liberi nel fiume smetterebbero di combattersi. Motorcycle boy ruba una vaschetta ma, quando va a gettare i pesci nel fiume, la revolverata di un poliziotto di ronda lo uccide. Rusty libera i pesci rubati dal fratello nel fiume e fugge in California con la moto del fratello. La sua corsa si arresterà solo di fronte all'Oceano.

“Russel James (...) di tanto in tanto compare un individuo che ha una visione diversa da quella della gente comune. Ho detto 'comune', bada, non 'normale'. Questo non significa che la persona in questione non sia sana di mente. Una percettività molto acuta non fa di te un pazzo...anche se a volte può portarti alla follia. (...) Tua madre non è pazza e, contrariamente all'opinione generale, non lo è nemmeno tuo fratello. Gli è stato soltanto assegnato un ruolo che non fa per lui. Sarebbe stato un perfetto cavaliere di ventura, in un altro secolo, o, un ottimo principe pagano in un'epoca di eroi. E' nato nell'era sbagliata e dalla parte sbagliata del fiume. Potrebbe riuscire in qualunque cosa, ma non trova nulla per cui valga la pena di agire”. Questo racconta il padre di Rusty James al figlio in uno dei momenti più intensi sia del film di Coppola, che del romanzo di Susan Hinton. La descrizione realistica di una condizione esistenziale e la rivendicazione di una diversità estrema, quella dei “pesci combattenti” che non hanno più una giusta causa per farlo, ma possono solo partecipare come attrazioni alla rappresentazione della violenza cieca mascherata da trasgressione. Uno spettacolo squallido cui a loro modo cercano di sottrarsi sia Rusty che il fratello Motorcycle Boy. Ma, come nel film gemello, il fallimento melodrammatico delle aspirazioni dei due giovani è dietro l'angolo. M. Boy ne è consapevole e lascia che gli avvenimenti abbiano il loro scontato corso di morte, mentre Rusty si dibatte “come una pallina da flipper: rimbalzi qua e là, senza mai chiederti dove stai andando o come ci arriverai”, come lo descrive l'amico Steve. Ma in questa lotta titanica contro la mediocrità esistenziale i due protagonisti della storia non sono soli questa volta. Coppola partecipa al dramma che si sta consumando sulla scena con uno stile mai così forte, personale e intenso nella sua cinematografia (forse solo i primi due Padrini e Apocalypse Now sono a questo livello, ma con altro approccio espressivo) attraverso un uso della m.d.p. e del montaggio lirici e dissonanti al tempo stesso, come solo nelle lunghe cavalcate elettriche dei Sonic Youth o di Neil Young o nelle ballate oscure di Stan Ridgway è dato ritrovare, per utilizzare un metro di paragone musicale non casuale, ma in sintonia con l'America “diversa” raccontata e cantata da questi artisti. Un racconto poetico rabbioso in cui la m.d.p. attraversa spazi e personaggi senza nascondere la propria presenza, ma evidenziandola in inquadrature antinaturalistiche e 'oblique', sghembe e deformate, prospettive distorte, controluce accecanti e ombre misteriose, effetti teatrali vertiginosi. “La realtà è continuamente destrutturata e ricomposta, non un singolo fotogramma/frammento di realtà è “normale” o “medio”. C'è sempre un'ansia di sperimentazione, sull'immagine, sul suono, sulla costruzione del set, sulla recitazione, sul montaggio” (Vito Zagarrio, dal Castoro Cinema “Francis Ford Coppola”). Ma emerge con vigore anche un altro tema spesso sottovalutato della cinematografia di Coppola, quella del viaggio e della fuga, sempre desiderata dai personaggi dei suoi film, ma spesso repressa sotto traccia nei rapporti familiari o mascherata sotto le forme solo apparentemente più rassicuranti del viaggio interiore. Rusty è un personaggio in perenne fuga dal mondo e da sé stesso senza una meta precisa (“Sarà bello quando avrò trovato un posto in cui valga la pena di andare”, afferma il Rusty della Hinton), mentre suo fratello Motorcycle Boy è già fuggito ed ha già sperimentato sulla sua pelle cosa vuol dire avere una diversa visione delle cose (letteralmente: è daltonico e non vede i colori) ed essere un “alieno”, una meteora che viene da un mondo altro (“quello è un principe, amico. Una maestà in esilio”, dice a Rusty un giocatore di biliardo riferendosi al fratello) rispetto a quello in cui l'unica strada consentita all'individuo è quella della carriera (“A volte non riesco a credere d'aver fatto tanta strada da allora”, racconta, nel romanzo, il redivivo Steve all'ex amico Rusty nel loro fuggevole incontro cinque anni dopo la loro separazione). Ma mentre “Quello della motocicletta” sceglie di andare incontro al suo destino come un eroe della tragedia greca, senza arrendersi, ma anche senza illusioni o speranze (“Accidenti, quei ragazzi ti avrebbero seguito ovunque. E quasi tutti lo farebbero ancora”, quasi urla Rusty ad un certo punto al fratello che però gli risponde sconsolato, “Sarebbe fantastico. Se solo sapessi dove andare”), Rusty decide di continuare la sua fuga da un mondo di “pesci combattenti” che, inconsapevoli, continuano a farsi la guerra con l'unico fine di conservare intatti i rapporti di potere esistenti. Una fuga anche dai fantasmi di chi ha tradito i valori di amicizia e fratellanza dell'adolescenza in cambio di una vita esangue, anche se agiata. “Ho guardato di nuovo Steve. Era come vedere il fantasma di qualcuno che era stato mio amico molto tempo prima”, conclude Rusty James nel romanzo della Hinton. Prima di scomparire nuovamente lungo le strade assolate della California.

Dracula
Titolo originale: Bram Stoker's Dracula; regia: Francis Ford Coppola; soggetto: dall'omonimo romanzo di Bram Stoker; sceneggiatura: James V. Hart; fotografia: Michael Ballhaus; montaggio: Anne Goursaud, Glen Scantlebury, Nicholas C. Smith; musiche: Wojciech Kilar; scenografia: Tom Sanders; interpreti e personaggi: Gary Oldman (Dracula), Winona Ryder (Mina Murray/Elisabeta), Anthony Hopkins (Prof. Abraham Van Helsing), Keanu Reeves (Jonathan Harker), Richard E. Grant (Dr. Jack Seward), Cary Elwes (Lord Arthur Holmwood), Billy Campbell (Quincey P. Morris), Sadie Frost (Lucy Westenra), Tom Waits (R.M. Renfield), Monica Bellucci, Michaela Bercu, Florina Kendrick (Spose di Dracula); origine: USA; anno: 1992; durata: 122'.

Anno 1453, Costantinopoli cade. I musulmani turchi dilagano in Europa, minacciando tutto il mondo cristiano. Dalla Transilvania si leva a difesa della chiesa un cavaliere romeno del sacro ordine del Dragone, Vlad Tepes, conosciuto come Draculia. Quando ritorna a casa, scopre che Elisabeta, principessa romena nonché sua moglie, è morta suicida alla falsa notizia della morte dell'amato marito, divulgata ad arte dai turchi sconfitti. Alle parole del prete, che sentenzia la dannazione di Elisabeta in quanto suicida, Vlad rinnega Dio e la chiesa, che aveva difeso, e diventa un vampiro. Verso la fine del XIX secolo, l'avvocato Jonathan Harker è incaricato dalla sua ditta di concludere un affare riguardante l'acquisto di case in diversi punti di Londra per conto di un eccentrico conte della Transilvania, Dracula. Questi, osservando un'immagine della fidanzata di Harker, Mina Murray, riconosce in lei la reincarnazione di sua moglie e con uno stratagemma riesce a trattenerlo al castello mentre lui si reca a Londra. Dracula riesce a sedurre Mina. Nel frattempo la migliore amica di Mina, l'aristocratica Lucy Westenra viene ripetutamente sedotta dal conte, che, bevendone il sangue, garantisce il proprio ringiovanimento. Lucy si affida alle cure del dott. Jack Seward che chiama in suo aiuto di Abraham Van Elsing docente universitario olandese che conosce la natura del vampirismo e che utilizza diversi meccanismi per combatterlo. Riuscito a fuggire dal castello nei Carpazi, Harker si rifugia in un convento, le cui monache informano Mina dell'accaduto. Nonostante la sua infatuazione per il conte Vlad, Mina raggiunge Jonathan e lo sposa. Dopo la partenza di Mina, Dracula trasforma Lucy in vampiro, ma Val Helsing e Seward riescono ad “ucciderla”. Dracula riesce a fuggire in Transilvania, dove viene però raggiunto da Van Helsing, Seward, Jonathan e Mina. Verrà infine ucciso, dopo un cruento scontro che coinvolge anche alcuni degli zingari che lo servivano, proprio da Mina, che lo salva dalla sua condanna di essere per sempre un “non morto”, trafiggendolo con una spada nel cuore e infine decapitandolo.

“Ognuno uccide ciò che ama”, cantava Jeanne Moreau, nel film di Fassbinder, “Querelle de Brest”. Forse potrebbe essere questo il sottotitolo del Dracula più romantico che memoria cinematografica ricordi. Lettura suffragata dallo stesso Coppola: “E' soprattutto una storia d'amore per me. Una storia tragica nella tradizione di Paolo e Francesca, Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta, le grandi storie d'amore epico vessate da qualche enorme problema che sembra farle funzionare sempre meglio”. Nello stesso tempo il regista italo-americano si mostra come l'interprete più fedele del romanzo di Bram Stoker di cui mantiene la struttura narrativa epistolare (il diario di Jonathan Harker, le lettere delle due amiche Mina e Lucy, il giornale medico del dottor Seward, immaginari articoli di giornale dell'epoca) pur disegnando i contorni del personaggio di Dracula con una luce fortemente epica e drammatica (sostenuto dalla grande prestazione recitativa di Gary Oldman che pare aver portato con sé la carica nichilistica e rabbiosa di certi personaggi “punk” interpretati in precedenza) che lo caricano di molteplici significati simbolici. Dracula incarna infatti un'altra delle grandi ossessioni tematiche di Coppola, quella del potere e della seduzione spesso orrorifica che alla sua gestione si accompagna (dal 'padrino' Vito Corleone al colonnello Kurtz di “Apocalypse Now”, quello che in punto di morte evoca più volte a sé stesso ed ai suoi muti interlocutori “l'orrore” della sua vita e delle sue azioni). Dracula è indubbiamente un personaggio che sprigiona un potere seduttivo malefico, ma irresistibile, ed è allo stesso tempo un personaggio in rivolta rispetto ad un mondo i cui falsi valori e la cui ipocrisia (l'Inghilterra vittoriana) gli fanno “orrore”. Un personaggio perfettamente in linea con la poetica coppoliana dualistica rispetto al “sistema” (qualsiasi sistema), incerto fra lo stare dentro e lo star fuori, fra il compromesso di convenienza e la ribellione. E quindi perfettamente a suo agio nell'ambiguità di quella terra di nessuno che sta fra la luce e l'ombra, nella proiezione seducente del suo doppio che è poi l'eterno tema del cinema e del teatro (un paio di incontri fra il conte e Mina avvengono durante le prime proiezioni cinematografiche, quelle delle ombre cinesi, dell'arrivo del treno dei fratelli Lumière, dei primi filmati erotici). Un gioco delle ombre assecondato dalla fotografia espressionistica del “fassbinderiano” Michael Ballhaus che alterna i tagli di luce drammatici degli interni caravaggeschi ai colori della tradizione fiamminga, e dalla struttura narrativa che alterna la principale linea epistolare con frequenti citazioni neobarocche dai generi più disparati, dall'horror al melodramma, dal romance delle grandi e impossibili storie d'amore epico al western, dal film gotico al film di samurai e al videoclip, utilizzati con frenesia “vampiresca” per disegnare a tinte forti un mondo che si nutre del “sangue” degli altri. In questo senso il Dracula di Coppola è stato anche interpretato come una sottile metafora di un cinema 'vampirizzato' dalla televisione. Solo che nell'interpretazione del regista italo-americano, se si ritiene valida questa metafora metalinguistica, è il vampiro ad incarnare un cinema ed una visione del mondo intrisa di poesia, di sfumature e di colori forti, mentre è il mondo dei personaggi “normali” (i Jonathan Harker, i Van Helsing, i Seward, le due amiche Lucy e Mina) a rappresentare la televisione, e la sua visione piatta e omologante del mondo (vedere per credere l'impostazione luministica, ricchissima di contrasti di luce e di colore dal sapore quasi “tridimensionale”, data da Coppola alle scene ambientate nel castello del conte e confrontarle con quelle prive di profondità di campo e di chiaroscuri delle ricche case borghesi di Lucy e Mina, quasi una specie di reality show ante litteram). Dracula assume perciò la statura epica di un Motorcycle Boy o di un colonnello Kurtz, trasformati in “vampiri”, alieni da eliminare da parte di una società che vuole a tutti i costi nascondere i propri lati oscuri, una società “basata sul fatto che la gente preferisce di gran lunga restare dove si trova, non cambiare niente perchè tutto funzioni” (Coppola dixit). In questo senso il personaggio del vampiro finisce per incarnare nella poetica coppoliana una sorta di alter ego dell'artista che “rinuncia ai legami di sangue per la creazione, per lo spirito creativo, e diventa come un morto vivente” (sempre Coppola), un eroe che muore per amore (di Mina, della bellezza, dell'arte) mentre tutto intorno a lui si muove in funzione di convenienze materiali e convenzioni sociali funzionali al perseguimento di questo fine. Un fantasma come quelli evocati dalla protagonista di “Non torno a casa stasera”: “I fantasmi sono esseri fatti d'aria. All'aperto non si vedono perchè il vento li fa sparire”. Anche se di tanto in tanto si ostinano a ritornare.

Marcello Cella