domenica 22 dicembre 2019

Cowspiracy: The Sustainability Secret
Il cibo che uccide

Il consumo di cibo, gli allevamenti intensivi e il loro impatto sul cambiamento climatico in questo documentario americano del 2014 di Kip Andersen e Keegan Kuhn.





Nell’anno di Greta Thunberg, di “Antropocene” e del prepotente ritorno alla ribalta delle tematiche ambientaliste derivato dal forte impatto mediatico della giovane attivista svedese è interessante recuperare questo documentario americano del 2014, realizzato grazie ad una sorta di crowfounding e al sostegno del popolare attore Leonardo Di Caprio, da due giovani registi, Kip Andersen e Keegan Kuhn. “Cowspiracy” infatti si focalizza su un aspetto della nostra vita sociale, individuale e collettiva, che spesso viene lasciato nell’oscurità perché va a toccare uno degli aspetti più intimi della nostra esistenza, una sorta di tabù al pari del sesso e della morte, cioè il cibo e l’uso che ne facciamo. Qualcuno potrebbe obbiettare che di cibo, nel senso di gastronomia, cucina, chef star, ricette e affini sono pieni i nostri organi di informazione, dalla televisione che ha creato delle vere e proprie icone mediatiche sintetizzate nella figura dello chef (“capo, colui che comanda” in francese) ai quotidiani e ad una infinità di riviste dedicate all’argomento. Ma è sull’impatto sociale e ambientale di un atto così privato e individuale come il mangiare, e il mangiare carne in particolare, che si occupa “Cowspiracy”. 
Lo stile narrativo è mutuato dai docufilm di Michael Moore, ma con meno ironia e maggiore vocazione divulgativa; vale a dire che il canovaccio è dato dal giornalista-autore (in questo caso uno dei due registi, Kip Andersen) che svolge la sua inchiesta sotto gli occhi dello spettatore e agisce da collante che unisce i vari episodi su cui è strutturato il film. 



Kip è un ambientalista convinto e ha costruito tutto il suo stile di vita su valori etici improntati al più classico ecologismo (raccolta differenziata, risparmio energetico in casa e al lavoro, uso della bicicletta per spostarsi), convinto che questo possa essere utile all’ambiente e alla società in cui vive. Ma un giorno leggendo su internet alcuni articoli e rapporti di organizzazioni come la FAO, la Banca Mondiale, l’ONU, ecc. scopre dati e cifre che lo lasciano allibito e mettono in crisi tutte le sue convinzioni. Scopre, per esempio, che gli allevamenti intensivi di animali sono responsabili al 91% della distruzione della foresta amazzonica, al 51% dell’emissione di gas serra, che gli allevamenti animali per il consumo umano utilizzano 1/3 di tutta l’acqua potabile del pianeta, occupano il 45% della superficie terrestre, e sono responsabili dell’estinzione di molte specie animali, della distruzione di habitat, ecosistemi e sistemi sociali. Alla luce di questi elementi lo stile di vita ambientalista orgogliosamente esposto inizialmente da Kip appare, anche a lui stesso, molto inadeguato. Per questo Kip decide di saperne di più e di realizzare questo documentario dal sapore vagamente country nelle atmosfere da film on the road, dovute anche alla colonna sonora da ballata rurale nelle parti di viaggio che si alternano alle interviste e ai grafici animati rigorosamente scientifici e ben documentati. Ma il contenuto di “Cowspiracy” non fa sconti a nessuno, neppure alle organizzazioni ambientaliste che in gran parte, interrogate sul tema, appaiono stranamente reticenti e poco documentate, ripetendo quasi sempre le classiche nozioni ambientaliste sulle ragioni del cambiamento climatico che ormai conosciamo tutti a memoria (energia di origine fossile, trasporti inquinanti, città affollate, ecc.). Solo alcuni studiosi coraggiosi (e qui Andersen ricorda incidentalmente come mettersi contro gli allevamenti intensivi e l’industria alimentare in Brasile è costato la vita a 1100 attivisti negli ultimi anni) e fuori dal coro accettano di rispondere alle domande dell’autore e ciò che ne viene fuori è un quadro allarmante per la vita della Terra e dei suoi abitanti, cioè di tutti noi umani, in qualche modo preveggente se pensiamo che il documentario è stato realizzato 5 anni fa. Intanto l’incremento vertiginoso della popolazione umana sulla Terra che nel giro di un solo secolo è passata da un miliardo e mezzo a 7 miliardi e continua a crescere (le proiezioni future parlano di 9 miliardi nei prossimi decenni). Ma è l’impatto devastante su ambiente, cambiamenti climatici, ecosistemi e sistemi sociali degli allevamenti intensivi per soddisfare il crescente consumo umano di carne e di prodotti derivati ad apparire talmente abnorme da apparire incredibile (ed il film è stato accusato di essere esagerato nei dati per quanto sia assolutamente rigoroso nel citare fonti scientifiche certificate e al di sopra di ogni sospetto). Sono 70 miliardi gli animali allevati dall’uomo, ma mentre gli uomini quotidianamente bevono 19,7 miliardi di litri d’acqua e mangiano 9,5 milioni di tonnellate di cibo, gli 1,5 miliardi di bovini degli allevamenti bevono 170 miliardi di litri d’acqua al giorno e mangiano 62 milioni di tonnellate di cibo. Senza contare che a livello globale produciamo cibo sufficiente per sfamare tra i 13 e i 15 miliardi di persone, ma attualmente sulla Terra ce ne sono solo 7, fra cui, per di più, un miliardo soffre la fame. Ma, sempre a livello globale, il 50% dei cereali e dei legumi prodotti servono per nutrire gli animali degli allevamenti, mentre l’82% dei bambini che muoiono di fame nel mondo abitano nei paesi dove la maggior parte dell’agricoltura è di fatto una monocultura utile a sfamare la piccola parte ricca del pianeta che abita soprattutto negli USA e in Europa. 



Non dobbiamo però pensare a “Cowspiracy” come ad un documentario a senso unico e assolutista nelle sue tesi di fondo, perché i due registi si sforzano di portare alla luce anche tesi contrarie a quelle qui riportate, ma spesso sono proprio gli operatori del settore a sottolineare come questo modello di sviluppo, di consumo di cibo (e di energia, e di suolo, e di risorse) da cui loro stessi traggono vantaggio, fra non molto non sarà più sostenibile. Sono illuminanti a questo proposito le conversazioni che Kip ha prima con un allevatore che afferma, imbarazzato ma convinto: “Una mucca consuma dai 63 ai 68 Kg di mangime al giorno e beve tra i 110 e i 150 litri d’acqua. Non c’è abbastanza spazio sulla terra per sostenere questa produzione. Non c’è abbastanza terra”, e poi con un consigliere d’amministrazione di una grossa azienda di latticini che ammette senza remore che “a livello mondiale la produzione lattiera non è sostenibile”. 



Che fare dunque per evitare di collassare noi stessi e il pianeta in cui viviamo? La risposta che i due registi danno implicitamente ed esplicitamente è quella di uno stile di vita e di consumo di cibo che eviti il più possibile il consumo di carne e dei suoi derivati, cioè la dieta vegana, o, almeno, il più possibile vegetariano (”io non voglio mangiare gli altri, ma mangiare per gli altri”, afferma dopo aver assistito suo malgrado alla brutale uccisione di due anatre da parte di un allevatore). Per corroborare le loro tesi, Kip visita una comunità vegana di Detroit, la Earthworks Urban Farm, i cui componenti dimostrano con i fatti come si possa produrre cibo sano, nutriente e piacevole al gusto utilizzando spazi infinitamente più piccoli e meno impattanti sull’ambiente quanto a consumo energetico per produrlo e socialmente più equilibrati, grazie anche ad una vita comunitaria che privilegia le relazioni sociali al posto dell’arricchimento individuale e della solitudine metropolitana.



Ma mentre, nella mente dello spettatore più avvezzo alle ideologie del ‘900 fa capolino la barba beffarda di Karl Marx e la sua tesi sul capitalismo e i suoi epigoni umani che si autodistruggeranno segando il ramo dell’albero su cui siedono, sullo schermo risuonano le parole di alcuni degli interlocutori più interessanti del narratore-viaggiatore Kip Andersen che si alternano a suggestivi paesaggi bucolici attraversati dai raggi di un sole lisergico. 
“Fai quello che puoi fare nel miglior modo possibile ogni giorno della tua vita e quando morirai sarai la persona più felice che sia morta”. 
“L’altruismo è un bel modo di essere. Ha tutti i vantaggi per te così come per il pianeta e per le altre persone. E’ un bel modo di vivere”. 
“Vivere in maniera ecologica ci fa stare meglio. Si tratta di trasformare radicalmente il modo di mangiare della nostra società, perché è una necessità”.
“Si può cambiare il mondo. Voi dovete cambiare il mondo”.
Una fragile ragazzina svedese con le trecce, lo sguardo profondo e le parole di fuoco contro l’inerzia colpevole e interessata dei potenti della terra sembra idealmente dare corpo e senso alla citazione di Martin Luther King che i due registi mettono come incipit di “Cowspiracy”: “Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.


Marcello Cella



Cowspiracy: The Sustainability Secret 
Durata: 90 min.
Regia: Kip Andersen, Keegan Kuhn 
Formato: Video HD
Produzione: AUM Films, First Spark Media 
Web: www.cowspiracy.com 
Contatti media Italia: 
Serena Capretti | Essere Animali:     serena.c@essereanimali.org        +39 342 0509174