sabato 31 marzo 2018

L'amore corre sulla strada

I'm in LOVE with MY CAR” di Marco Mellara e Alessandro Rossi

I'm in LOVE with MY CAR” dei giovani filmaker emiliani Marco Mellara e Alessandro Rossi racconta la storia dell'automobile, di come ha cambiato la nostra vita, le nostre città e i nostri cinque sensi, dandoci l'illusione di muoverci liberamente nel mondo da cui in realtà ci ha separato, e creando innumerevoli problemi sociali e sanitari.



C'è stato un tempo in cui l'automobile era la materializzazione di un sogno di libertà e di fuga da una vita grigia e senza sbocchi, lo strumento per evadere da un mondo chiuso nella ripetizione di stili di vita e modalità di pensiero sempre uguali, spesso legati ad un passato che pesava come un macigno sulla/nella testa di chi faceva del movimento fisico e mentale verso un altrove la propria ragione di vita. Era il tempo del sogno americano che sembrava a portata di mano per chi aveva le chiavi di un'automobile. Era il tempo in cui Bruce Springsteen, nella sua epica canzone “Born to run” del 1975, cantava versi come questi: “Di giorno teniamo duro nelle strade/ di uno sfrenato sogno americano/ Di notte sfrecciamo fra case signorili/ su macchine da suicidio/ Usciti dalle bare di cemento verso l'autostrada 9/ su ruote cromate, motori a iniezione/ correndo sulla linea bianca/ Piccola, questa città ti strappa le ossa dalla schiena/ E' una trappola mortale, un invito al suicidio/ Dobbiamo fuggire finché siamo giovani/ Perchè vagabondi come noi, tesoro,/ sono nati per correre”. Poi il sogno americano si è fermato e si è trasformato in un incubo. Le automobili si sono moltiplicate sempre più fino a intasare quelle grandi strade, le vie di fuga verso quell'ignoto carico di promesse e speranze sempre più irraggiungibili. Il nostro paesaggio urbano si è trasformato in una immensa autostrada sempre piena di automobili ferme in qualche ingorgo o in qualche parcheggio (la nostra automobile passa il 95% della sua vita attiva ferma in un parcheggio). E quello che sembrava il mezzo per fuggire si è trasformato in una gabbia a misura umana che ci impedisce di andare da qualsiasi parte. Un oggetto ingombrante e forse destinato ad una progressiva estinzione.




Il documentario “I'm in love with my car” dei due giovani cineasti emiliani Marco Mellara e Alessandro Rossi, già ricchi di esperienze creative nel documentario come nel cinema, nella televisione e in teatro, racconta o suggerisce tutto questo. L'opera dei due documentaristi è la storia dell'automobile, di come questo strumento ha cambiato la nostra vita e le nostre città, sempre più città a misura di automobile e non di noi umani, il nostro modo di muoverci e perfino i nostri sensi. In effetti il film, dopo un prologo esilarante, ma anche a suo modo significativo, girato in una classe di una scuola elementare di Bologna in cui i bambini hanno disegnato la loro idea di automobile e la spiegano ai compagni, si divide in cinque parti, ognuna delle quali è dedicata ad uno dei nostri cinque sensi, vista, udito, olfatto, tatto e gusto, e incentrata sul modo in cui l'automobile li ha progressivamente cambiati. Utilizzando filmati pubblicitari d'epoca e interviste a persone che hanno dedicato la vita all'automobile come il pilota Dindo Capello, tre ricercatori dell'ISFTTAR (Michel Berengier, Judicael Picaut, Arnaud Caen) che indagano su nuovi modelli di città e di sostenibilità dell'auto, un designer di automobili di fama internazionale come Chris Bangle e l'antropologo Franco La Cecla, i due filmaker raccontano l'epopea dell'automobile e le trasformazioni psicologiche, antropologiche, culturali e sociali da essa indotte. Come raccontano nel book di presentazione del film, “la nostra VISTA è occupata da automobili parcheggiate, svincoli autostradali, code di auto in tangenziali o nei boulevard delle periferie. Il nostro GUSTO è cambiato: il rituale quotidiano dei fast-food e dei drive-through ha modificato il nostro rapporto col cibo che sempre più spesso consumiamo sui sedili dell'auto. Quasi non facciamo più caso all'ODORE dei fumi di combustione nelle nostre città, ma sempre più persone sono malate a causa dell'inquinamento atmosferico. Sia che UDIAMO il rumore del traffico dalla nostra macchina, sia che ci lasciamo trasportare dal l'ipnotico rombo dei motori in una gara automobilistica, il suono che produce l'automobile è diventato una fonte di inquinamento acustico. La richiesta di perfezione nello stile e nella forma spinge i designer automobilistici ad innovare costantemente le forme, cercando di creare una speciale connessione tra l'uomo e la macchina. In questo rapporto entra in gioco il TATTO e l'auto diventa un corpo che ci seduce e ci ammalia”.



L'automobile ci ha avvinto in un rapporto talmente stretto da costituire una sorta di “sesto senso”, una specie di facoltà umana aggiunta inconsapevolmente alla nostra natura originaria. “L’automobile” - afferma l'antropologo La Cecla - “fa parte di quel saper fare che costituisce tutti quei meccanismi automatici che noi impariamo e poi dimentichiamo. Camminare fa parte di uno di questi automatismi, di queste tecniche del corpo: come gesticolare, come dormire, come buona parte delle facoltà umane. Allora la cosa impressionante è che guidare è diventata una facoltà, cioè proprio al pari del parlare, del camminare, è diventato una facoltà umana”. Una facoltà/strumento che ci ha permesso di andare ovunque nel mondo, di raggiungere e conoscere i luoghi più lontani e nascosti, di avvicinarci agli altri, di accorciare le distanze fra le nostre diversità o, forse, come suggerisce sempre La Cecla, ci ha fornito solo l'illusione di questo rapporto ravvicinato con il mondo e con gli altri. L'automobile è un oggetto che ha completamente colonizzato anche il nostro immaginario come testimoniano le migliaia di canzoni dedicate ad essa. Per non parlare dei film e di quel ricchissimo genere cinematografico, il road movie, che tanto ci ha fatto sognare mondi lontani, accompagnando le nostre più ingenue utopie di cambiamento e dandoci quell'illusione, così necessaria a noi umani, che tutto sia sempre possibile, che sia possibile fuggire dalla prigione della casa e al tempo stesso portarsela appresso, per poi magari farvi ritorno completamente trasformati.



L’automobile” - continua La Cecla - “è una casa, però è molto di più di una casa, penso che in qualche modo ti libera dalla casa, è una casa le cui finestre sono aperte al mondo. La cosa che impressiona è che il mondo diventa tutto un paesaggio percorribile, tu vedi le cose, sei in mezzo alle cose, ma comunque le vedi attraverso una finestra. L’automobile da questo punto di vista è anche la mamma della televisione. Perché il parabrezza è una finestra sul mondo. (...) L’automobilista è un flaneur, è qualcuno che ha un rapporto col mondo da fruizione disincantata e distaccata, che ha un rapporto con gli altri nel traffico, che non è un rapporto vero, nel senso che poi le persone le vedi attraverso i vetri, ma non è che hai un rapporto umano, diretto. Tutto questo fa parte anche della costruzione dell’indifferenza, che è anche una delle cifre della modernità, cioè tu sei nel mondo, ma sei indifferente al mondo, e agli altri”. Un'ipotesi inquietante che spiegherebbe molte delle contraddizioni tipiche della nostra epoca, quel senso ambiguo di essere dentro la realtà, ma nel contempo di non riuscire a comprenderla appieno, la contemporaneità di presenza ed estraneità dentro noi stessi, dentro i luoghi in cui viviamo e che percorriamo ogni giorno, dentro il nostro mondo perennemente “visibile”, illuminato a giorno e senza ombre apparenti, ma il cui significato continua a sfuggirci. E forse si spiega anche quel vago senso di nostalgia, come di qualcosa che sta finendo, che pervade sottilmente I'm in love with my car”. Forse l'automobile con le sue emozioni artificiali, i suoi sogni perduti e i suoi reali incubi sociali, sanitari, economici e culturali è già uno oggetto del passato, qualcosa da consegnare alla storia, mentre i giovani umani che vivono e attraversano oggi le nostre città accarezzano sogni di fuga e di cambiamento completamente diversi, realizzabili con strumenti più maneggevoli come uno smartphone. Anche se ugualmente illusori nell'idea di colmare distanze e coltivare rapporti nuovi e più ricchi di significato. Forse solo nuovi strumenti per coltivare l'umana indifferenza al mondo e sfamare nuovi incubi, in fondo così simili a quelli prefigurati in un'altra famosa canzone “automobilistica” del 1979, “Highway to hell”, della band americana AC DC: “Vivo tranquillamente, amo liberamente/ abbonato per una corsa di sola andata/ (...) Non ci sono segnali di stop o limiti di velocità/ nessuno riuscirà a farmi rallentare/ (...) Hey mamma, guardami,/ sono sulla mia strada per la terra promessa/ Sono sull'autostrada per l'inferno”.
Marcello Cella


I'm in love with my car
Regia, soggetto e sceneggiatura: Michele Mellara, Alessandro Rossi
Fotografia: Michele Mellara
Montaggio: Marco Duretti, Michele Mellara, Alessandro Rossi
Musica originale: Nicola Bagnoli
Suono: Alessandro Rossi
Operatori: Michele Mellara, Francesco Merini, Umberto Romagnoli, Marco Cavalli
Produttore: Ilaria Malagutti
Produzione: Mammut Film srl con il supporto di programma Media della Comunità Europea, il contributo del Fondo Audiovisivo della Regione Emilia Romagna ed il sostegno della Film Commission Torino Piemonte e della Regione Piemonte
Nazionalità: Italia
Anno: 2017
Durata: 72 minuti