L'amore
corre sulla strada
“I'm
in LOVE with MY CAR” di Marco Mellara e Alessandro Rossi
“I'm
in LOVE with MY CAR” dei giovani filmaker emiliani Marco Mellara e
Alessandro Rossi racconta la storia dell'automobile, di come ha
cambiato la nostra vita, le nostre città e i nostri cinque sensi,
dandoci l'illusione di muoverci liberamente nel mondo da cui in
realtà ci ha separato, e creando innumerevoli problemi sociali e
sanitari.
C'è
stato un tempo in cui l'automobile era la materializzazione di un
sogno di libertà e di fuga da una vita grigia e senza sbocchi, lo
strumento per evadere da un mondo chiuso nella ripetizione di stili
di vita e modalità di pensiero sempre uguali, spesso legati ad un
passato che pesava come un macigno sulla/nella testa di chi faceva
del movimento fisico e mentale verso un altrove la propria ragione di
vita. Era il tempo del sogno americano che sembrava a portata di mano
per chi aveva le chiavi di un'automobile. Era il tempo in cui Bruce
Springsteen, nella sua epica canzone “Born to run” del 1975,
cantava versi come questi: “Di giorno teniamo duro nelle strade/ di
uno sfrenato sogno americano/ Di notte sfrecciamo fra case signorili/
su macchine da suicidio/ Usciti dalle bare di cemento verso
l'autostrada 9/ su ruote cromate, motori a iniezione/ correndo sulla
linea bianca/ Piccola, questa città ti strappa le ossa dalla
schiena/ E' una trappola mortale, un invito al suicidio/ Dobbiamo
fuggire finché siamo giovani/ Perchè vagabondi come noi, tesoro,/
sono nati per correre”. Poi il sogno americano si è fermato e si è
trasformato in un incubo. Le automobili si sono moltiplicate sempre
più fino a intasare quelle grandi strade, le vie di fuga verso
quell'ignoto carico di promesse e speranze sempre più
irraggiungibili. Il nostro paesaggio urbano si è trasformato in una
immensa autostrada sempre piena di automobili ferme in qualche
ingorgo o in qualche parcheggio (la nostra automobile passa il 95%
della sua vita attiva ferma in un parcheggio). E quello che sembrava
il mezzo per fuggire si è trasformato in una gabbia a misura umana
che ci impedisce di andare da qualsiasi parte. Un oggetto ingombrante
e forse destinato ad una progressiva estinzione.
Il
documentario “I'm
in love with my car”
dei due giovani cineasti emiliani Marco Mellara e Alessandro Rossi,
già ricchi di esperienze creative nel documentario come nel cinema,
nella televisione e in teatro, racconta o suggerisce tutto questo.
L'opera dei due documentaristi è la storia dell'automobile, di come
questo strumento ha cambiato la nostra vita e le nostre città,
sempre più città a misura di automobile e non di noi umani, il
nostro modo di muoverci e perfino i nostri sensi. In effetti il film,
dopo un prologo esilarante, ma anche a suo modo significativo, girato
in una classe di una scuola elementare di Bologna in cui i bambini
hanno disegnato la loro idea di automobile e la spiegano ai compagni,
si divide in cinque parti, ognuna delle quali è dedicata ad uno dei
nostri cinque sensi, vista, udito, olfatto, tatto e gusto, e
incentrata sul modo in cui l'automobile li ha progressivamente
cambiati. Utilizzando filmati pubblicitari d'epoca e interviste a
persone che hanno dedicato la vita all'automobile come il
pilota Dindo Capello,
tre ricercatori dell'ISFTTAR
(Michel
Berengier,
Judicael Picaut, Arnaud Caen) che indagano su nuovi modelli di città
e di sostenibilità dell'auto, un designer di automobili di fama
internazionale come Chris Bangle e l'antropologo Franco La Cecla, i
due filmaker raccontano l'epopea dell'automobile e le trasformazioni
psicologiche, antropologiche, culturali e sociali da essa indotte.
Come raccontano nel book di presentazione del film, “la nostra
VISTA è occupata da automobili parcheggiate, svincoli autostradali,
code di auto in tangenziali o
nei
boulevard delle periferie.
Il
nostro GUSTO è cambiato: il rituale quotidiano dei fast-food e dei
drive-through ha modificato il nostro
rapporto
col cibo che sempre più spesso consumiamo sui sedili dell'auto.
Quasi non facciamo più caso
all'ODORE
dei fumi di combustione nelle nostre città, ma sempre più persone
sono malate a causa
dell'inquinamento
atmosferico. Sia che UDIAMO il rumore del traffico dalla nostra
macchina, sia che ci
lasciamo
trasportare dal l'ipnotico rombo dei motori in una gara
automobilistica, il suono che produce
l'automobile
è diventato una fonte di inquinamento acustico. La richiesta di
perfezione nello stile e nella
forma
spinge i designer automobilistici ad innovare costantemente le forme,
cercando di creare una speciale
connessione
tra l'uomo e la macchina. In questo rapporto entra in gioco il TATTO
e l'auto diventa un corpo
che
ci seduce e ci ammalia”.
L'automobile
ci ha avvinto in un rapporto talmente stretto da costituire una sorta
di “sesto senso”, una specie di facoltà umana aggiunta
inconsapevolmente alla nostra natura originaria. “L’automobile”
- afferma l'antropologo La Cecla - “fa parte di quel saper fare che
costituisce tutti quei meccanismi automatici che noi impariamo e poi
dimentichiamo.
Camminare fa parte di uno di questi automatismi, di queste tecniche
del corpo: come
gesticolare,
come dormire, come buona parte delle facoltà umane.
Allora
la cosa impressionante è che guidare è diventata una facoltà, cioè
proprio al pari del parlare, del
camminare,
è diventato una facoltà umana”. Una facoltà/strumento che ci ha
permesso di andare ovunque nel mondo, di raggiungere e conoscere i
luoghi più lontani e nascosti, di avvicinarci agli altri, di
accorciare le distanze fra le nostre diversità o, forse, come
suggerisce sempre La Cecla, ci ha fornito solo l'illusione di questo
rapporto ravvicinato con il mondo e con gli altri. L'automobile è un
oggetto che ha completamente colonizzato anche il nostro immaginario
come testimoniano le migliaia di canzoni dedicate ad essa. Per non
parlare dei film e di quel ricchissimo genere cinematografico, il
road movie, che tanto ci ha fatto sognare mondi lontani,
accompagnando le nostre più ingenue utopie di cambiamento e dandoci
quell'illusione, così necessaria a noi umani, che tutto sia sempre
possibile, che sia possibile fuggire dalla prigione della casa e al
tempo stesso portarsela appresso, per poi magari farvi ritorno
completamente trasformati.
“L’automobile”
- continua La Cecla - “è una casa, però è molto di più di una
casa, penso che in qualche modo ti libera dalla casa, è
una
casa le cui finestre sono aperte al mondo. La cosa che impressiona è
che il
mondo
diventa tutto un paesaggio percorribile, tu vedi le cose, sei in
mezzo alle cose, ma comunque le vedi
attraverso
una finestra. L’automobile da questo punto di vista è anche la
mamma della televisione.
Perché
il parabrezza è una finestra sul mondo. (...) L’automobilista è
un flaneur,
è
qualcuno che ha un rapporto col mondo da fruizione disincantata e
distaccata,
che ha un rapporto con gli altri nel traffico, che non è un rapporto
vero, nel senso che poi le
persone
le vedi attraverso i vetri, ma non è che hai un rapporto umano,
diretto. Tutto questo fa parte
anche
della costruzione dell’indifferenza, che è anche una delle cifre
della modernità,
cioè
tu sei nel mondo, ma sei indifferente al mondo, e agli altri”.
Un'ipotesi inquietante che spiegherebbe molte delle contraddizioni
tipiche della nostra epoca, quel senso ambiguo di essere dentro la
realtà, ma nel contempo di non riuscire a comprenderla appieno, la
contemporaneità di presenza ed estraneità dentro noi stessi, dentro
i luoghi in cui viviamo e che percorriamo ogni giorno, dentro il
nostro mondo perennemente “visibile”, illuminato a giorno e senza
ombre apparenti, ma il cui significato continua a sfuggirci. E forse
si spiega anche quel vago senso di nostalgia, come di qualcosa che
sta finendo, che pervade sottilmente “I'm
in love with my car”. Forse l'automobile con le sue emozioni
artificiali, i suoi sogni perduti e i suoi reali incubi sociali,
sanitari, economici e culturali è già uno oggetto del passato,
qualcosa da consegnare alla storia, mentre i giovani umani che vivono
e attraversano oggi le nostre città accarezzano sogni di fuga e di
cambiamento completamente diversi, realizzabili con strumenti più
maneggevoli come uno smartphone. Anche se ugualmente illusori
nell'idea di colmare distanze e coltivare rapporti nuovi e più
ricchi di significato. Forse solo nuovi strumenti per coltivare
l'umana indifferenza al mondo e sfamare nuovi incubi, in fondo così
simili a quelli prefigurati in un'altra famosa canzone
“automobilistica” del 1979, “Highway to hell”, della band
americana AC DC: “Vivo tranquillamente, amo liberamente/ abbonato
per una corsa di sola andata/ (...) Non ci sono segnali di stop o
limiti di velocità/ nessuno riuscirà a farmi rallentare/ (...) Hey
mamma, guardami,/ sono sulla mia strada per la terra promessa/ Sono
sull'autostrada per l'inferno”.
Marcello
Cella
I'm
in love with my car
Regia,
soggetto e sceneggiatura:
Michele
Mellara, Alessandro Rossi
Fotografia:
Michele Mellara
Montaggio:
Marco Duretti, Michele Mellara,
Alessandro Rossi
Musica
originale: Nicola
Bagnoli
Suono:
Alessandro Rossi
Operatori:
Michele Mellara, Francesco Merini,
Umberto Romagnoli, Marco Cavalli
Produttore:
Ilaria Malagutti
Produzione:
Mammut Film srl
con il supporto di programma
Media della Comunità Europea, il
contributo del Fondo Audiovisivo
della Regione Emilia Romagna ed il sostegno della Film Commission
Torino Piemonte e della Regione
Piemonte
Nazionalità:
Italia
Anno:
2017
Durata:
72 minuti