giovedì 26 maggio 2016


Il sale della terra
Rubrica di documentarismo, cinema della realtà, fotografia sociale, realismi narrativi 

La fabbrica e il falso
“La fabbrica fantasma – Verità sulla mia bambola” di Mimmo Calopresti
Questa rubrica nasce come tentativo di riflettere e far riflettere su quello che consideriamo e definiamo, nel cinema, come in altre realizzazioni dell'ingegno umano, come “realtà”. Se questo è vero un documentario come “La fabbrica fantasma – Verità sulla mia bambola” di Mimmo Calopresti, nonostante la sua apparenza di riflessione personale sul mercato del falso, si presta a numerose considerazioni e non solo sul concetto di realtà, ma sulla sostanza stessa di un processo storico in cui ci troviamo immersi, quello della cosiddetta globalizzazione economica. L'opera di Calopresti che per comodità definiamo documentario, ma che incrocia altri generi di narrazione come il reportage giornalistico, la narrazione diaristica o il resoconto di viaggio, racconta il mondo della contraffazione attraversando città e culture le più diverse, da Torino a Napoli e poi in Ungheria e Ucraina sulle tracce dei trafficanti che invadono i mercati europei di prodotti dannosi per l'economia e spesso anche per la salute dei consumatori, soprattutto quella dei bambini. Una produzione, una “fabbrica” che tutti conoscono, ma che nessuno è disposto a denunciare, relegata ai margini dell'impero, in non luoghi che hanno spesso, significativamente, preso il posto di luoghi con una storia e un'identità ben precisa, come le vecchie fabbriche manifatturiere, facendo evaporare le antiche divisioni di classe, ben lungi peraltro da essere superate, nascondendole dietro una “vetrina” permanente di oggetti, merci in perpetua disponibilità dei “consumatori”. In questo senso il titolo del documentario di Mimmo Calopresti, “La fabbrica fantasma” è molto azzeccato: in effetti la realtà della produzione e dei rapporti di classe che essa sottende anche oggi non è per niente superata, ma si presenta come entità fantasmatica, come oblio dietro una sterminata quantità di oggetti colorati che appaiono al consumatore come nati dal nulla, oggetti senza storia, “apparsi”, non prodotti da qualcuno. Ma quella fabbrica esiste, per quanto frammentata e dai contorni geografici e temporali ambigui, e il merito del documentario di Calopresti è proprio quello di rivelarlo agli spettatori nella sua crudezza materiale e nella sua pericolosa natura classista e mortifera, con toni che a volte possono perfino apparire didascalici, ma che in realtà non abbandonano mai la strada di una sorta di intima riflessione di viaggio, un viaggio sulla natura di quello che noi siamo abituati a chiamare con il termine etico ed esistenziale di “realtà”. Va detto che il fine de “La fabbrica fantasma” è in effetti anche un intento etico. Infatti questo documentario è inserito nel forum multimediale di informazione contro le mafie “A mano disarmata” e sostenuto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ma sarebbe un errore considerarlo solo un'opera di denuncia contro un cancro che sta distruggendo economie, società, intelligenze. La denuncia ovviamente c'è ed è chiara a partire dai dati che vengono portati alla riflessione dello spettatore. Il mercato del falso in Italia produce ricavi per le mafie pari a 6 miliardi e 535 milioni di euro ogni anno e toglie all'economia legale 105.000 lavoratori a tempo pieno. I falsi rappresentano il 12% del mercato dei giocattoli in Italia. A Napoli una sigaretta su 3 è di contrabbando. I settori più colpiti dalla contraffazione sono abbigliamento (34,3% dell'intero valore), cd, dvd e software (27,3% del totale) e prodotti alimentari (15,8% del totale). Lo stesso Calopresti dichiara: “Comprando merci contraffatte ed illegali non solo finanziamo la mafia internazionale, ma facciamo un danno a tutto il sistema economico e produttivo. Creiamo schiavitù, povertà, inquinamento e in più rischiamo di danneggiare la nostra salute. Insomma, un disastro”. Ma c'è un danno più subdolo, e forse anche peggiore di quelli elencati, che l'autore torinese paventa nel suo bel documentario: quello di distruggere la fiducia delle persone nel mondo in cui vivono, la  loro capacità di sognare un mondo diverso, o anche solo di giocare con trasporto ingenuo con oggetti e simboli, come fanno i bambini, abbandonandosi alla loro verità immaginifica. Ed è proprio da una riflessione del regista stesso con la sua bambina, Clio, di fronte ad un servizio televisivo sull'esodo dei migranti attraverso i Balcani della scorsa estate che inizia il suo viaggio all'incontrario, dai giocattoli e dalle bambole della bambina alle origini di questa produzione. Il regista e sua figlia, insieme ai suoi amichetti, commossi dalle immagini dei bambini migranti, decidono di fare un'opera benefica, vendere una parte dei loro giocattoli per comprarne di nuovi per loro. Ed è in questo momento che scoprono un'altra realtà, quella del falso, che si nasconde dietro le forme ed i colori ammiccanti dei prodotti per bambini, e che a sua volta nasconde, come in una scatola cinese, la reale consistenza etica di un modo di produrre e di una struttura sociale che, mentre da una parte pretende libertà assoluta di movimento (quella delle merci), non è disposta a concedere la stessa possibilità di movimento alle persone.



“Perchè gli Stati erigono muri per impedire il passaggio di migranti e invece non riescono a controllare il transito di merci contraffatte?”, si chiede Calopresti. A questa domanda nessuno risponde, ma la risposta sta nel viaggio del regista da Torino a Napoli e poi in Ungheria e nelle riflessioni amare che lo accompagnano in questo sfacelo di diritti, in questo panorama sterminato di bruttezza, miseria umana e infelicità assoluta che i colori plastificati, omologati e falsi delle merci contraffatte non riescono a nascondere. Il mercato del falso consente di accumulare enormi ricchezze e profitti esentasse, sfruttando i lavoratori fino a ridurli in condizione di semischiavitù, aggirando leggi e norme a difesa dei cittadini, e condizionando in modo diretto o indiretto le scelte di politica economica dei singoli stati. Ma soprattutto ciò che emerge con forza dal documentario di Calopresti è proprio la bruttezza di un modo di produrre e di consumare che azzera la storia, le culture, le vite, la capacità di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, la stessa capacità di sognare, rivelato dalla citazione finale di Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, ma soprattutto dalla frase che il regista ripete alla sua bambina durante la visita immaginifica alla mostra della Barbie nelle strutture dell'ex fabbrica Ansaldo di Genova, che suona come un monito e un obiettivo da raggiungere per tutti noi se vogliamo preservare la nostra più intima natura umana: “dobbiamo ripristinare la verità contro il falso”.

Marcello Cella

“La fabbrica fantasma – Verità sulla mia bambola”
da un'idea di Paolo Butturini
Regia: Mimmo Calopresti
Soggetto: Mimmo Calopresti, Roberto Benini
Sceneggiatura: Mimmo Calopresti, Luigi Politano
Produzione: Silvia Innocenzi e Giovanni saulini per Magda Film
Fotografia: Alessandro Dominici, Leone Orfeo, Carlo Boni
Montaggio: Valerio Quintarelli
Durata : 50'
Italia, 2016