sabato 15 ottobre 2022



La bellezza scaccia la vergogna

“Letizia Battaglia. Shooting the mafia”



“Ho cercato di trasformare la realtà, di piegarla a mio favore: la pancia di una donna nuda, sulla quale l’occhio si ferma, davanti ad un uomo ammazzato, che diventa marginale, ti aiuta a dimenticare quel morto, a superare quell’immagine di morte con la vita. In poche parole ho aggiunto ad una foto di morte una foto di vita. La bellezza che cancella la vergogna”

Letizia Battaglia in “Mi prendo il mondo ovunque sia”


C’è una foto, fra le tante della sterminata opera fotografica di reportage di Letizia Battaglia che racconta come poche altre il senso di tutto il suo lavoro sulle immagini della realtà. La foto si intitola “La bambina e il buio” e raffigura, nel suo fortissimo contrasto in bianco e nero, una bambina, ripresa in piena luce, su una strada di Palermo. La bambina è vestita elegante, forse deve partecipare a qualche cerimonia, non sorride ma si rivolge alla fotografa con un gesto di vanità infantile stirandosi la gonnellina plissettata. Di fianco a lei però dal buio vagamente minaccioso emerge una figura maschile. Anche lui è vestito elegante e porta un paio di occhiali scuri da sole che ne nascondono lo sguardo. Anche lui rivolge il suo sguardo verso la fotografa facendo un gesto con la mano sul fianco che ne vuole sottolineare l’autorità, la forza, una forza che si annuncia non amichevole. Dietro di lui, in secondo piano e quasi completamente immersa nel buio si avverte una figura femminile di donna matura, in una posizione che si rivela anche visivamente subalterna. Potrebbero essere i genitori della bambina o forse no. Non è importante saperlo. Quello che è invece importante è che questa fotografia sintetizza tutta l’opera della fotoreporter Letizia Battaglia che ha raccontato come pochi la sua città, Palermo, con una forza visiva impressionante, il contrasto viscerale tra il bene e il male, tra la luce e il buio per l’appunto, in un bianco e nero che non lascia scampo ad inutili estetismi. Kim Longinotto, documentarista inglese, figlia di un fotografo, con una vita tormentata alle spalle come la Battaglia e autrice da sempre attenta alle problematiche del mondo femminile, le dedica un ritratto fedele ed appassionato giocando nel titolo con il termine inglese “shooting” che si riferisce sia all’atto di fotografare, sia a quello di sparare. Alla mafia. 





Letizia Battaglia del resto è stata una temibile avversaria della mafia siciliana e soprattutto della cultura mafiosa che ne costituiva il brodo di coltura, con le sue miserie, la sua violenza, la sua sciatteria estetica, la sua ignoranza, la sua povertà culturale e valoriale. Per quanto la fotografa siciliana abbia lavorato a lungo anche a Milano e all’estero viene quasi sempre identificata e conosciuta per la sua impressionante mole di fotografie che ritraggono la sua città a cui l’ha sempre legata un rapporto viscerale di amore e odio. Quasi una malattia, come lei stessa ammette. La regista inglese concentra la sua attenzione soprattutto su questo tratto distintivo della sua opera, ma senza tralasciare altri aspetti altrettanto importanti della sua biografia raccontata in modo emozionante e spesso lancinante dalla sua stessa protagonista. Gli anni giovanili, i sogni spezzati da una cultura maschile violenta ed oppressiva, incarnata prima dal padre e poi dal marito, sposato giovanissima, il malessere psicologico che la conducono prima in clinica psichiatrica e poi in analisi, il rapporto bello e profondo con le sue figlie, l’amore per la sua città e la sua gente, soprattutto la più povera e reietta, e infine la sua salvezza, con la scoperta della fotografia a quarant’anni. 





Una passione che si trasforma in lavoro nei 19 anni passati al quotidiano palermitano di sinistra “L’Ora” e la possibilità di raccontare l’orrore della violenza mafiosa, la corruzione delle classi dirigenti siciliane colluse con gli uomini di Cosa Nostra e la terribile miseria in cui vivevano le classi sociali più povere. Un’opera, quella di Letizia Battaglia che presto trascende la cronaca nera e quella giudiziaria per raccontare una condizione umana degradata e una città che tutti i giorni deve fare i conti con la sua consolidata malattia impegnandosi nelle sue parti migliori nel tentativo estremo di contrastarla, di sanarla, di far emergere un’altra immagine di sé stessa, un’altra città possibile. E allora ecco le fotografie di Falcone e Borsellino, ritratti nei loro rari momenti di serenità, che poi la Battaglia si rifiuterà di fotografare da morti per rispetto nei loro confronti, ma anche per non fornire alla mafia alcun appiglio visivo della sua forza devastante che potrebbe in qualche modo rafforzarne l’immagine e legittimarla all’interno della società siciliana e palermitana. 






E poi l’impegno in politica, la partecipazione esaltante alla prima giunta Orlando della cosiddetta “Primavera siciliana”, eletta con i Verdi e assessore alla vivibilità urbana, con i tanti progetti piccoli e grandi realizzati in quel periodo. Ma anche, infine, l’abbandono della politica attiva, quando, eletta all’assemblea regionale si rende conto di essere stata parcheggiata in una dorata e confortevole posizione sociale, priva però di alcun potere nel cambiare la vita delle persone. E quindi il ritorno a tempo pieno alla fotografia, che continua ad essere per lei visione etica e politica, in quel rapporto viscerale con la realtà e con sé stessa che il mezzo consente e spesso pretende. “Penso che con la macchina fotografica si possa esprimere ciò che si è in una commistione unica con la realtà. Riesci ad esprimere te stesso riprendendo il mondo. Lo porti dentro, dentro una macchinetta e riesci a raccontarlo raccontando insieme te stessa. E’ qui, insomma, in questo duplice racconto, che nasce la bella fotografia”, afferma Letizia. Una bellezza che non nasce dall’estetica, ma dalla necessità di realizzare immagini che possano andare al di là del puro dovere di cronaca per trasformarsi in affresco vitale di una città, della sua storia utilizzando anche tecnicamente quegli strumenti, come il grandangolo, che le possano consentire quel corpo a corpo con la realtà, quel superamento della distanza fra macchina fotografica e realtà che è un tratto distintivo di tutta la sua opera fotografica, debitrice dichiarata del neorealismo cinematografico frequentato da giovane nelle sale cinematografiche palermitane, milanesi e parigine. 





“Consiglio di fotografare tutto da molto vicino, a distanza di un cazzotto, o di una carezza”, afferma Letizia. Perchè la realtà può essere orribile, ma può anche ritrarre e raccontare la bellezza. Come dimostra tutta un’altra parte della sua opera, quella dedicata alle bambine, a quelle  bellissime bambine palermitane vestite di stracci, ma dalla sguardo fiero e severo, che osservano l’adulta che le fotografa con uno sguardo interrogativo e duro come un atto d’accusa. Come uno sparo che infrange il vetro fragile dell’ipocrisia e denuncia senza sconti un mondo adulto che le costringe ad abbandonare i loro sogni e le loro speranze. Non ci sono attenuanti nelle bellissime e spesso terribili fotografie in bianco e nero di Letizia Battaglia, la radiografia di una sconfitta e di una speranza lanciata alle generazioni future, ma c’è sempre un atto d’amore, quello che lei racconta alla regista inglese e che condivide con i suoi amanti-complici delle sue avventure professionali, l’amore per Palermo e per la sua gente, per il suo popolo che non sempre accetta con fatalismo un destino già scritto dai potenti di turno e dai loro sgherri, ma che spesso si ribella e fa emergere la sua parte migliore con Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, Rocco Chinnici e i tanti piccoli eroi dimenticati che Letizia racconta in “Shooting the mafia”. “La fotografia la amo e la ringrazio perchè mi ha salvata (…). Mi ha costretta a vedere l’orrore, mi ha invitato a cercare la bellezza”.



Marcello Cella




“Letizia Battaglia. Shooting the mafia”

Regia: Kim Longinotto

Produzione: Irlanda 

Anno di realizzazione: 2019

Anno di uscita: 2020

Durata: 97’