sabato 23 dicembre 2017


Ai confini dell'impero


Tre recenti documentari raccontano le realtà più marginali ed oscure del mondo occidentale: “Brexitannia” di Timothy George Kelly, “Stranger in Paradise” di Guido Hendrikx e “The Workers Cup” di Adam Sobel.

Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo”. Con questa frase sibillina il replicante del film “Blade Runner” interpretato dall'attore Rutger Hauer, accoglieva minacciosamente il detective-cacciatore di replicanti Harrison Ford/Deckard. Nel 1982 forse non era ben chiaro il senso di questa affermazione o almeno la si applicava a realtà drammatiche come la guerra o i cataclismi naturali.  Oggi il terrore di non sapere più chi siamo o di non poter progettare il futuro appartiene all'esperienza quotidiana di milioni di persone che sono costrette a vivere in un presente che assomiglia sempre più ad una prigione senza possibilità di fuga a causa delle condizioni economiche imposte da un sistema politico-economico oligarchico, quello che denominiamo abitualmente neoliberalismo. I tre documentari presentati in questa rubrica odierna parlano sostanzialmente di questo, dell'angoscia di chi è costretto a vivere ai margini di questo sistema ricchissimo e spietato e per questo è costretto a scelte che non sono tali perchè non prevedono una qualche forma di riscatto, ma contengono solo qualche pallido anticorpo sotto le mentite spoglie di una protesta senza sbocchi. “Brexitannia” di Timothy George Kelly, “Stranger in Paradise” di Guido Hendrikx e “The Workers Cup” di Adam Sobel sono stati presentati recentemente all'interno del festival ferrarese della rivista Internazionale e, pur nelle diversità estrema di temi e stili, possono essere in qualche modo accomunati da questa riflessione amara sullo stato delle cose presenti nel mondo occidentale di oggi. 
“Brexitannia” del filmaker londinese ma di origine australiana Timothy George Kelly, si muove ai margini e sulle macerie sociali e culturali del dopo Brexit, il referendum che ha sancito la separazione della Gran Bretagna dal resto dell'Europa. In un racconto a più voci, il livido bianco e nero della fotografia ci accompagna in un viaggio nelle aree urbane britanniche più povere e in quelle rurali più lontane dalle grandi città globalizzate e tecnologiche, dove ha trionfato il voto “contro”. Il voto dei paesi contro le città, dei vecchi contro i giovani, dei cittadini comuni contro le classi dirigenti, dei penultimi (gli inglesi bianchi, poveri, disoccupati o che svolgono i lavori peggiori) contro gli ultimi (gli immigrati dall'Africa), in un puzzle di antica tristezza che qualcuno ha giustamente definito “un ritratto di una democrazia in decadenza”, dove i vecchi imperi sono tramontati e ne rimane solo un'acida nostalgia, il lavoro è sempre più privo di significato umano e sempre più automatizzato, il potere è sempre più lontano da chi ne subisce le scelte. La vera protagonista di questo drammatico e bellissimo documentario è però la solitudine delle persone trattate come “scarti di produzione” da un sistema sociale ed economico, quello neoliberale, sul cui significato il regista si sofferma in alcune illuminanti conversazioni parallele al racconto principale con personaggi come il filosofo americano Noam Chomsky o la sociologa ed economista statunitense Saskia Sassen. 
Con “Stranger in Paradise” del cineasta olandese Guido Hendrikx ci trasferiamo inaspettatamente in un'aula scolastica per rifugiati in Sicilia. Qui un attore-insegnante, in uno spettacolare e bizzarro gioco di ruolo, accoglie i richiedenti asilo che devono imparare la lingua e le regole del nostro paese e, più generalmente, dell'Occidente, e gli spiega con apparente cinismo “come stanno le cose” in questa parte di mondo. Ma non si tratta solo di apprendere come funzionano la burocrazia o le leggi in materia di immigrazione, ma delle vere “regole del gioco” non dichiarate che sottostanno a quelle leggi, il cui fine, neanche troppo nascosto, è di accogliere il minor numero possibile di rifugiati, ignorarne storie e condizioni, come le cause che li costringono a partire, e, nel caso che la “corsa ad ostacoli” preparata per loro non funzioni come deterrente, rendere la loro presenza sempre più invisibile e ininfluente. Il film di Hendrikx che si muove agilmente tra finzione e documentario seguendo le rigide regole di sobrietà visiva e narrativa dei cineastiche aderiscono a Dogma95, il movimento-manifesto cinematografico inventato dal regista danese Lars Von Trier, suddivide il suo film in tre capitoli intervallati da “tavole” foto-pittoriche di paesaggio accompagnate da brevi momenti musicali secondo modalità che ricordano proprio la struttura narrativa di “Le onde del destino” di Von Trier. Tre capitoli a cui corrispondono tre diversi gruppi di rifugiati e tre modalità diverse di comportamento da parte dell'insegnante-attore Valentijn Dhaenens. Al primo gruppo egli spiega quanto costano all'Europa, quali rischi portano e perché gli europei non li vogliono. Al secondo, dipinge un'immagine idilliaca in cui saranno accolti a braccia aperte e realizzeranno i loro sogni. Al terzo vengono poste invece domande burocratiche, sulle procedure seguite per arrivare e il diritto d'asilo alla fine delle quali solo tre di loro avranno diritto alla speranza di essere accolti. “Tre approcci, specchio degli atteggiamenti fallimentari dell'Occidente di fronte alla disperazione umana: il rifiuto, l'idealismo, l'indifferenza. I protagonisti sono veri rifugiati, sono vere le loro terribili storie. Un esperimento crudele? Non quanto la realtà” (N.D. “Un esperimento crudele? Non quanto la realtà”, Mymovies, 3/10/2017). 
Ma se l'esperimento sociale raccontato da “Stranger in Paradise” può essere visto come una parabola sotto forma di documentario, il racconto di “The Workers Cup” del regista britannico Adam Sobel è assolutamente reale, anche se avviene in un'altra parte del mondo, solo apparentemente molto lontana, e cioè il ricchissimo Qatar dove si stanno costruendo le faraoniche infrastrutture che accoglieranno i campionati mondiali di calcio del 2022. Infatti quando la commissione FIFA ha selezionato il Qatar per ospitare la Coppa del Mondo 2022, il paese ha utilizzato le proprie risorse per cominciare a costruire stadi e opere architettoniche grazie soprattutto a milioni di lavoratori migranti. Si calcola che siano 1,6 milioni gli immigrati impiegati in questi lavori, il 60% della popolazione del paese, provenienti da paesi come Nepal, Bangladesh, Filippine, India, Kenya, Ghana e tenuti in condizioni di semischiavitù. Ma all'interno di questo inferno fatto di sfruttamento lavorativo e orari massacranti per salari miserabili gli stessi sponsor dei mondiali organizzano da anni un torneo di calcio aziendale, “The Workers Cup” per l'appunto, in cui si affrontano le squadre di calcio formate dai lavoratori stranieri delle varie aziende presenti, una sorta di operazione di marketing finalizzata a ripulire la propria immagine, le violazioni dei diritti umani che avvengono sui luoghi di lavoro e lo squallore delle baraccopoli in cui questi lavoratori sono costretti a vivere lontani dal proprio paese, dalle proprie famiglie e anche dalla vista dei ricchi cittadini qatarioti, essendo loro vietato di uscire dai loro “villaggi” dopo l'orario di lavoro e di mischiarsi negli sconfinati centri commerciali con la popolazione locale. Il documentario di Adam Sobel segue una delle ultime edizioni del torneo raccontando sia l'aspetto sportivo e agonistico, sia e soprattutto le storie di questi lavoratori che vedono nella partecipazione al torneo una fragile strada di riscatto sociale. Eroi sul campo ma ai margini nella società qatariota, i lavoratori perdono progressivamente la speranza che li aveva spinti a emigrare, e i colori, i suoni, le urla festose che accompagnano le partite si perdono progressivamente nel vuoto, nel silenzio, nella solitudine del dopopartita e soprattutto nel ritorno alla amara quotidianità lavorativa dove non c'è spazio per i sogni e le vie di fuga si riducono alla finestrella che separa gli operai al lavoro per ampliare un centro commerciale dalle famiglie intente a fare shopping. Una piccola finestra quasi impercettibile, ma che separa due mondi lontanissimi, il centro del mondo ricco e globalizzato da quello povero di sogni e di oggetti degli “invisibili”. Un luogo che è anche una metafora, non troppo allegra, del mondo di oggi.

Marcello Cella



BREXITANNIA 
Regia: Timothy George Kelly 
Produzione: Regno Unito, Federazione Russa
Anno di produzione: 2017 
Durata: 80' 




STRANGER IN PARADISE 
Regia: Guido Hendrikx 
Produzione: Paesi Bassi 
Anno di produzione: 2016 
Durata: 72' 





THE WORKERS CUP 
Regia: Adam Sobel 
Produzione: Regno Unito 
Anno di produzione: 2017 
Durata: 92'