venerdì 30 marzo 2012


Ho intervistato Antonio Tabucchi nel 1995. L'occasione fu la presentazione del film "Il filo dell'orizzonte" del regista portoghese Fernando Lopes, tratto dal suo omonimo romanzo. Ci incontrammo in un bar del centro di Pisa e fu un'intervista difficile, sicuramente la più difficile che mi sia capitato di fare. Tabucchi non mi conosceva, pensava fossi un giovane cronista un po' superficiale ed ignorante e fu necessaria una buona mezz'ora di monosillabi e la constatazione da parte sua che io i suoi romanzi li avevo letti tutti prima che cominciasse davvero a dirmi qualcosa di interessante. In ogni caso fu una bella sudata per il sottoscritto, una prova di quanto lavoro bisogna fare per realizzare una buona intervista. Ma anche un incontro appassionante con uno dei miei autori preferiti. Saluto oggi il grande scrittore che ho avuto il privilegio di conoscere anche solo per un momento riesumando dai miei cassetti questa intervista fatta in quel grigio novembre di 17 anni fa in un bar spoglio e semideserto e il successivo resoconto della serata in cui fu presentato il film presso il cineclub Arsenale di Pisa. Buona lettura.

Lo scrittore è un ascoltatore

Intervista ad Antonio Tabucchi, aprile 1995

L'intervista che segue è il frutto di un incontro con lo scrittore Antonio Tabucchi avvenuto in un caldo pomeriggio primaverile in un bar semideserto dopo aver assistito alla proiezione di uno dei film della rassegna sul cinema portoghese degli anni Ottanta organizzata dal cineclub Arsenale di Pisa in collaborazione con l'Istituto Portoghese di Arte Cinematografica e Audiovisuale di Lisbona, l'Istituto Camoes di Lisbona, l'Istituto di Portoghese dell'Università degli Studi di Pisa e il Comune di Pisa. Una rassegna alla quale lo scrittore pisano ha partecipato per presentare il film A Linha do Horizonte di Fernando Lopes tratto dal suo romanzo Il filo dell'orizzonte, ancora purtroppo inedito in Italia, e che sta girando con successo anche in altre città italiane. Un incontro in cui l'immagine del cinema che spesso frequenta l'opera di Tabucchi è diventato il pretesto per parlare della sua scrittura e dei temi in essa ricorrenti. E' certo che il rincorrersi di parole e immagini filmiche nei pensieri dei due interlocutori ha influenzato domande e risposte di questa conversazione che altrimenti si sarebbe senz'altro svolta in altro modo. Non so se migliore o peggiore. Ma certamente diverso. (m. c.)

La prima cosa che le volevo chiedere riguarda una affermazione che le ho sentito fare ad un giornalista qualche tempo fa, e cioè che la lettura è una attività più rassicurante della scrittura.
Tabucchi: No, ho detto che è una attività più nobile perchè più astratta. E' una frase di Borges, una citazione. Borges diceva che leggere è una attività più nobile dello scrivere. In realtà per leggere bisogna prendersi il tempo necessario. Sa, nei momenti in cui si scrive si legge anche poco. Perlomeno a me succede così. Fortunatamente ci sono molti periodi in cui non si scrive.

Riguardo al cinema portoghese, lei ne ha una buona conoscenza?
Tabucchi: Molto limitata. Il film che abbiamo visto oggi (Cerromaior di Luis Filipe Rocha, ndr.) mi è piaciuto molto…

…In questo film c'è uno scontro generazionale che però non esplode mai. Questo secondo lei è una visione personale del regista o ha un suo fondamento storico nelle vicende portoghesi?
Tabucchi: Forse in quegli anni lì questo confronto non poteva esplodere. Nel 1938 questo conflitto generazionale era difficile che si potesse manifestare, per quanto nel romanzo di Manoel de Fonseca mi pare che il protagonista maschile prenda posizione, si definisca, si mette contro la sua famiglia (di latifondisti terrieri, ndr.), fa una scelta politica. Nel film questo non avviene. Lui se ne va. C'è l'abbandono. Una distanza. Credo che sia un'interpretazione del regista. Il conflitto, il confronto si sarebbe manifestato solo negli anni Settanta, con la 'rivoluzione dei garofani'. E il Portogallo avrebbe dovuto aspettare ancora molto.

Ieri a Lopes ho chiesto se c'è stato questo scontro con i padri nello stesso modo in cui è avvenuto in altre cinematografie e lui diceva che non è mai esploso chiaramente e che si è preferito scegliere altri padri.
Tabucchi: Non lo so perchè non conosco sufficientemente il cinema portoghese. Per quanto riguarda il confronto con i padri ciò avviene anche prima, negli anni Cinquanta e Sessanta. Basta pensare al surrealismo portoghese che è un movimento tardo per il Portogallo, e che si manifesta alla fine degli anni Quaranta proprio come una rivolta contro i padri. E' una rivolta contro il perbenismo, contro questo clima soffocante della dittatura salazarista, contro le convenzioni. Nasce proprio come movimento anarcoide, come movimento contestatario. Quindi questo conflitto si manifesta. Se non nel cinema perlomeno nella letteratura.

Secondo lei c'è stato uno stacco netto tra l'epoca salazarista e quella di Caetano o c'è stata solo un'apertura parziale?
Tabucchi: Io direi che non c'è stata nemmeno una apertura. Secondo me è stato solo un passaggio di consegne. Caetano era il pupillo di Salazar. C'era sempre lo stato corporativo. La polizia politica è rimasta la stessa. C'è stata solo una apertura apparente.

C'è stato anche un primo utilizzo della televisione in funzione propagandistica.
Tabucchi: Ormai il salazarismo era putrido e non poteva più mantenere il Portogallo nell'isolamento completo come lo aveva mantenuto prima. Quindi non poteva neanche fermare le notizie che arrivavano in Portogallo, la diffusione dei mezzi di comunicazione, gli stessi giornali che facevano la fronda. La censura non ce la faceva più ad arginare un manifestarsi di notizie, di scontento, di voglia di informazione che c'era nel Portogallo degli anni Sessanta. E poi la guerra d'Africa, la guerra coloniale ha fatto esplodere il bubbone.

In Sostiene Pereira mi ha molto colpito il personaggio femminile perchè mi ha ricordato un altro personaggio femminile già presente in altri suoi racconti, Dolores Ibarruri. Volevo sapere se effettivamente questo personaggio di rivoluzionaria si è diluito nel personaggio di Marta.
Tabucchi: No. Personalmente non amo molto la Dolores Ibarruri. Mi pare un personaggio negativo. Ha combattuto gli anarchici, è stata stalinista, disgraziata e spazzata via dalla storia. Veramente direi che Marta più che una pasionaria è una democratica degli anni Trenta, certo di ispirazione marxista, socialista, però non ha il carattere della grande rivoluzionaria. E' una ragazza abbastanza maldestra, che si è anche messa con un ragazzo maldestro come Monteiro Rossi. Insomma sono due giovani che Pereira definisce 'due giovani ottimisti e senza futuro'. In effetti in un Portogallo come quello era difficile organizzare un vero movimento di resistenza. Marta certo ha un pregio perchè è il personaggio che sveglia Pereira dal suo letargo, mentre Monteiro Rossi tutto sommato si incarna nel ruolo della vittima sacrificale.

I personaggi femminili nei suoi romanzi sembrano sempre un po' complici dei protagonisti ma quasi mai protagoniste. Si tratta di un ruolo in qualche modo subordinato o di una scelta espressiva di altro tipo?
Tabucchi: Non so se è subordinato. Credo che per uno scrittore uomo sia molto difficile affrontare la tematica femminile, il mondo femminile. Scrittori che hanno saputo affrontare, secondo me con molta efficacia, il mondo femminile si contano sulle dita. A me viene in mente Flaubert con Madame Bovary e Tolstoj con Anna Karenina. E non sono scrittori che si trovano tutti i giorni.

In Sostiene Pereira, il protagonista è attratto dalla letteratura francese. E' un modo di astrarsi dalla situazione sua e del suo paese?
Tabucchi: Non è per quello. Direi che Pereira incarna perfettamente il tipico intellettuale portoghese degli anni Trenta che ha fatto i suoi studi a Coimbra e ha una specie di reverenza nei confronti della letteratura francese. Diciamo che la letteratura francese, con riviste come Presença, è entrata fortemente nel Portogallo proprio in quegli anni. E' entrato anche Pirandello sicuramente. Però sono entrati soprattutto Proust, Gide, Valery e tutta la letteratura francese in generale. Per di più Pereira ha una ragione in più di meditare, di riflettere sulla letteratura francese perchè, da buon cattolico come è lui, è attento alla grande letteratura cattolica che in quel periodo ha prodotto la Francia, alla sua testimonianza civile incarnata da personaggi come Bernanos, Mauriac, Maritain. Quindi c'erano molti motivi per fare di Pereira un personaggio culturalmente francesizzante.

Riguardo a Sostiene Pereira qualcuno ha parlato di romanzo storico, ma mi sembra che in tutta la sua opera il rapporto con la storia compaia sempre in qualche maniera, anche quando rimane sullo sfondo. Qual'è il suo rapporto con il presente quando scrive?
Tabucchi: Credo di essere uno scrittore che ha una certa attenzione per la storia. Non credo di essere uno scrittore intimista, egocentrico, che parla solo di sè. Mi piace parlare degli altri e quando parlo degli altri e invento dei personaggi mi piace anche situarli in un ambiente storico. Cioè mi piace anche dargli una fisionomia storica. Pereira è un romanzo che rivisita la storia del nostro passato prossimo, anche per fornire eventuali elementi di meditazione sul nostro presente. Non credo che sarei capace di scrivere un romanzo ambientato nel Cinquecento, per esempio, ma certo questo passato prossimo mi interessa molto come scrittore e come intellettuale perchè vi trovo le radici del nostro presente. Insomma, credo che quello che l'Europa ha vissuto negli anni Trenta non si può considerare un capitolo chiuso. Quando si vede il nazionalismo che ritorna, quando si vede picchiare un extracomunitario, uno deve dedurne che evidentemente certe ideologie che si sono formate negli anni Trenta hanno lasciato un loro strascico....

…Lei è intervenuto recentemente su un quotidiano, L'Unità, riguardo all'attentato ai bambini rom avvenuto a Pisa…
Tabucchi:…Si, ho espresso la mia indignazione, come credo tutta l'Italia, e credo che anche questa città, Pisa, l'abbia espressa organizzando una grossa manifestazione di solidarietà per esprimere il suo orrore di fronte ad un gesto di questo genere…

In alcuni suoi racconti del passato aleggia qualche riferimento al terrorismo. Ha mai pensato di fare come altri scrittori e trattare questa tematica direttamente? Come ha vissuto lei questo periodo storico che ogni tanto riaffiora in vario modo nell'opera degli scrittori italiani contemporanei?
Tabucchi: Naturalmente per uno scrittore della mia generazione che è passato attraverso la visione, la constatazione di quello che stava succedendo nel nostro paese certi segni degli avvenimenti che stavamo vivendo sono stati lasciati. Io non ho mai preso il problema di petto anche perchè credo che se riesco a riflettere sulla storia non riesco a fare cronaca ed ho sempre temuto che affrontando il problema in una maniera diretta potessi fare una letteratura sostanzialmente cronachistica che non mi piace. Naturalmente questi temi, questi motivi affiorano nella mia narrativa perchè non si può mai chiudere gli occhi di fronte a quello che sta succedendo. Oltre tutto io sono, come tutti noi, una persona che legge i giornali, che vede la televisione e fa una constatazione del nostro presente. Dunque questi avvenimenti in qualche modo si possono riflettere nella scrittura ma mai in maniera diretta.

In Notturno indiano c'è il personaggio della fotografa alla quale il protagonista chiede se è necessario vedere tutto e lei gli risponde che è meglio vedere il meno possibile…
Tabucchi: Infatti lo dice la fotografa. Lo dice una fotografa che ha visto l'orrore di Calcutta e che è andata a fotografarlo anche per il gusto un po' sadico e perverso del lettore e dello spettatore occidentale che poi va a vedere quanto è pittoresca la miseria su un libro di fotografie. E allora a questo mio personaggio faccio dire che forse non bisogna vedere tutto perchè dipende dall'utilizzazione che poi si fa di ciò che noi vediamo. E, secondo me, in un certo tipo di fotografia documentaria e miserabilista c'è a volte questo senso di leggera perversione.

Quindi è vero quello che si dice in un altro punto del romanzo che guardare è una forma di sadismo…
Tabucchi: Si, poi un libro sulle sciagure di Calcutta viene visto in un salotto milanese o in un salotto romano e magari sta su un tavolino elegante. Non so. Questa è una cosa che mi provoca un leggero turbamento…

Mi sembra di cogliere spesso anche una certa critica verso i mass-media. Per esempio, sempre rimanendo a Notturno indiano, c'è un altro punto del romanzo in cui si dice, riguardo alla fotografia, che ciò che sta dentro la sua cornice è una cosa, ma la vita fuori dalla cornice è un'altra cosa.
Tabucchi: Io per un certo verso sono anche un appassionato di fotografia. Devo dire che è un mezzo, un'espressione, un'arte che mi ha sempre attratto e inquietato nello stesso tempo. Le ho dedicato anche un largo testo in un mio romanzo, Il filo dell'orizzonte, in cui c'è proprio una meditazione sulla fotografia. Poi è chiaro che quando una persona ha un interesse in questo senso, come è il mio, si mette anche a leggere delle cose sulla fotografia. Allora ci si accorge che evidentemente esiste una filosofia della fotografia, e ci sono testi come, per esempio, quello della Sontag, di una grande profondità su questo mezzo così strano, così problematico il cui fine è quello di cogliere l'immagine per fissarla per sempre.

Pensa che, per quanto riguarda la televisione, questo sia possibile?
Tabucchi: Artisticamente la televisione mi interessa molto meno. Non possiamo certo situare il mezzo televisivo sullo stesso piano della fotografia. Lì il problema è quello dell'informazione ed è un altro discorso. Insomma la televisione se fosse ben fatta, ben utilizzata potrebbe anche essere un mezzo artistico. In questo momento non la vedo su un piano estetico. La fotografia è tutto un altro discorso.

Lei ha anche un grande interesse per la pittura....
Tabucchi: Per la pittura certamente, perchè la pittura fa parte della mia formazione culturale, molto più della musica, arte in cui non sono stato educato e quindi possiedo scarsi mezzi per capire la musica o forse è anche un fatto naturale. Le emozioni mi passano più attraverso gli occhi che attraverso le orecchie. L'emozione estetica me la dà più un quadro che una sinfonia. Questo probabilmente riguarda anche come siamo fatti. Però credo che non vi sia estranea anche la formazione che ho avuto da bambino, il fatto di essere nato in Toscana, di essere sempre stato portato in giro per i musei da mia madre, mio padre, mio zio, soprattutto mio zio paterno che mi portava nei musei fiorentini...Insomma è un'espressione che ho cominciato a capire e ad amare fin da piccolo.....

....E non l'ha mai praticata....
Tabucchi: No, mai. Io non ho mai praticato alcuna altra forma di espressione se non la scrittura in prosa. Il resto credo di non saperlo fare.

Anche se mi pare di capire che lei non ama molto questa distinzione dell'arte e della cultura in generi…
Tabucchi: Si, certo. Ormai credo che siano cadute certe barriere, in letteratura si parla solo del testo letterario. Ma si deve distinguere profondamente tra il testo poetico e il testo in prosa, il romanzo. Credo che sarei incapace di esprimere le mie sensazioni, le mie emozioni nella misura del verso. Per questo non ho neanche mai tentato....

Ma in compenso ha tradotto poesia....
Tabucchi: Si, ho tradotto poesia. Ma tradurre è essere al servizio di qualcuno. Certo io la leggo la poesia, mi piace molto, ma da lettore, non da scrittore.

In Sostiene Pereira c'è questo riferimento parallelo a generi letterari molto aperti, da una parte, e a scrittori come D'Annunzio, Marinetti, molto assertivi, pieni di certezze, dall'altra. Non crede che ci sia anche oggi questo rischio di chiusura linguistica nel testo letterario, questa tendenza ad una certa semplificazione linguistica mutuata dalla pubblicità?
Tabucchi: Non sarei così radicale. La letteratura mi pare che sia anche oggi molto varia e molto vitale. Non sto parlando solo dell'Italia, sto parlando della letteratura che sta venendo fuori anche in altri paesi. Scrivere è sempre un atto molto positivo. Secondo me è sempre meglio scrivere troppo che scrivere troppo poco, meglio leggere di più che leggere di meno. A me piacerebbe che ad ogni angolo di strada ci fosse una libreria e che le persone ci entrassero. Credo che poi la letteratura abbia mille teste e che non ci debba essere una sola ricetta per fare letteratura valida per tutti, anzi è molto bello che ci sia una grande varietà di idee, che ci sia uno scrittore che scrive sul problema del traffico in Italia e un altro che scrive sui fiori del suo giardino perchè tutte le manifestazioni della realtà hanno diritto di essere osservate e raccontate. Quindi quante più voci ci sono, meglio è.

I suoi romanzi sono spesso romanzi di viaggio. Quanto influisce il viaggio nel suo scrivere?
Tabucchi: Credo che dipenda molto dalle situazioni in cui si fa un viaggio. Ho fatto dei viaggi che non mi hanno suscitato niente, forse perchè non mi hanno suscitato l'emozione necessaria o perchè non ho trovato le persone giuste. Ci sono invece altri viaggi, spesso anche in paesi di cui non possedevo la chiave culturale, che mi hanno molto colpito perchè magari ho trovato un personaggio o perchè ho ascoltato una storia. Principalmente credo che un viaggio ha la capacità di suggerire o influenzare un testo letterario solo quando si riesce in questo viaggio a tenere gli occhi bene aperti e a cogliere molti aspetti della realtà; e poi forse sostanzialmente ad ascoltare le storie giuste perchè a me piace molto. E questo può succedere dappertutto, anche a casa mia. E' successo con le storie che mi raccontava mia nonna e che poi sono finite in Piazza d'Italia. Il bello di un viaggio è trovare una persona che non ci si aspettava e che ti dice qualcosa, ti racconta una storia, ti fa una confidenza, ti fa capire forse un brano di vita. Però in realtà questo può succedere dappertutto.

Quindi lo scrittore secondo lei deve essere un buon ascoltatore. Lei a volte sembra ipotizzare la figura di uno scrittore come medium. Anzi spesso nei suoi racconti ci sono persone che a loro volta raccontano delle storie.
Tabucchi: Questo dipende dal fatto che io ho sempre amato molto ascoltare e mi sono anche reso conto che se si è disponibili all'ascolto alle persone piace parlare. Ci sono molte persone che non aspettano altro che raccontarti una storia e a me interessano le vite degli altri. Come diceva Sartre, che quando gli chiesero cos'era secondo lui uno scrittore 'engagé' rispose che era uno che si interessava dei fatti altrui. Io non so se sono 'engagé' ma i fatti altrui mi interessano molto.

Sempre a proposito del viaggio, spesso mi sembra che nelle sue narrazioni le figure dei protagonisti si dissolvano un po' a favore della descrizione dei luoghi, dei paesaggi. Questo ha a che fare con una certa tendenza a dissolvere l'individualità dei personaggi nell'ambiente o vuole semplicemente rendere i luoghi elementi paritari del racconto?
Tabucchi: Oltre che le persone a me interessano anche gli ambienti. Non voglio essere troppo determinista, ma credo che, pur essendo le vicende personali molto importanti, anche l'ambiente contribuisca molto a creare le persone e a determinarle nelle loro scelte, nella loro mentalità. Quindi, anche senza voler fare il sociologo, devo dire che sono spesso sollecitato dalla descrizione degli ambienti.

Sono stati tratti quattro film dai suoi romanzi. Qual'è stato il suo rapporto con il cinema e con questi singoli progetti che sono stati realizzati a partire dalle sue opere?
Tabucchi: Il mio rapporto con il cinema è sempre stato un rapporto di spettatore appassionato. Ho sempre amato il cinema, mi è sempre molto piaciuto e anche oggi lo vedo volentieri. Notturno indiano è stato seguito soprattutto in Francia ed è stato molto poco visto in Italia a causa di una scarsa distribuzione. Questi sono i misteri e i problemi della distribuzione cinematografica in Italia, in cui si rischia di non vedere un film anche importante di un paese vicino per vedere magari Jurassic Park dappertutto. Il mio rapporto con questi film è stato anch'esso un rapporto da spettatore, escluso Sostiene Pereira al quale ho collaborato attivamente. Per Il filo dell'orizzonte invece ci sono stati purtroppo dei problemi che sono sfuggiti al mio controllo. Io avevo molto apprezzato la sceneggiatura precedente perchè avevo avuto la possibilità di leggerla. Poi credo che per motivi economici, di produzione Fernando Lopes sia stato costretto ad accettare un'altra sceneggiatura. Quella purtroppo non ho potuto leggerla e ho visto semplicemente il film finito. Le ripeto, l'atteggiamento che io ho verso i film che sono stati fatti dai miei libri è quello di uno spettatore curioso perchè mi rendo conto che il film tutto sommato è una lettura, una traduzione in un altro linguaggio, è un'interpretazione, a volte è quasi una recensione. E' quello che qualcun altro pensa di te.

La sua scrittura è stata influenzata dal cinema?
Tabucchi: Penso di si, senz'altro. Anzi le posso dire che quando ho scritto Piazza d'Italia ero sotto l'influenza delle lezioni di montaggio di Ejsenstejn che mi hanno dato l'idea di strutturare questo romanzo in una maniera, se non direttamente cinematografica perlomeno a quadretti e secondo delle brachilogie, dei salti temporali che possono in qualche modo ricordare il cinema. Credo che la generazione a cui appartengo non può non aver sentito l'influenza del cinema. E' un'arte troppo forte, troppo importante, troppo presente dagli anni Trenta-Quaranta in poi.

C'è uno scrittore tedesco, Sten Nadolny, che in un suo romanzo, La scoperta della lentezza, ha detto che esistono due tipi di sguardo: uno attento ai dettagli, quindi teso alla scoperta di quanto c'è di nuovo nella realtà, e uno sguardo fisso che segue soltanto un piano prestabilito e rende veloci al movimento. Lei in quale dei due si riconosce maggiormente?
Tabucchi: Ma non lo so fino a che punto queste teorizzazioni sono valide o bisogna crederci. Sono un po' dei filosofemi...

Anche Pessoa in qualche modo pensava di annullare sè stesso nel puro atto di vedere…
Tabucchi: Io credo che la letteratura fatta con le intenzioni, anche con le buone intenzioni può dare dei cattivi risultati. Credo che non bisogna mai mettere la morale o il moralismo prima della letteratura. A me quello che interessa è raccontare. Quindi mi interessa la voce narrante, e ovviamente anche lo sguardo sulle cose. Certo mi interessano anche i dettagli. Credo che i miei libri siano pieni di dettagli. Però, le ripeto, non so se queste teorizzazioni sono valide e se esiste una binarietà dello sguardo. Magari ne esistono molteplici di sguardi. Si può essere in un modo in una pagina ed essere completamente diversi in quella successiva. Questo dipende anche da l'umore che abbiamo quel giorno, dal fatto che piova o che non piova, dal fatto se abbiamo digerito bene o male. Credo che non bisogna credere eccessivamente in queste teorizzazioni. Certo guardare è molto importante.

Sempre riguardo allo sguardo, Wenders dice che in una fotografia si vede ciò che sta dentro la cornice ma anche colui che sta dietro la macchina fotografica. Nei suoi romanzi tende ad annullarsi per mostrare solo le cose o di far prevalere il suo punto di vista su di esse?
Tabucchi: Io credo che il punto di vista si veda sempre perchè è impossibile cancellarlo. Lo ha tentato l'école du regard con dei romanzi che mi sembrano poco godibili, e, letti oggi, mi sembrano proprio il frutto di una stagione, di un'avanguardia che lo ha fatto in maniera molto velleitaria e forzata. E' un esperimento che può essere interessante, ma mi sembra sia stato solo un tentativo. In realtà noi lasciamo sempre la traccia di quello che siamo e di quello che pensiamo, del nostro punto di vista su quello che scriviamo. E' quasi disumana questa oggettività che volevano imporci gli scrittori dell'école du regard. E poi non so a cosa serva questo neo-oggettivismo trasferito in arte, in letteratura.

In alcuni casi però il suo punto di vista si mantiene volutamente separato da quello dei suoi personaggi. Per esempio, in Sostiene Pereira già il titolo suggerisce questa separazione rigorosa del punto di vista del personaggio da quello dell'autore…
Tabucchi: Si, io ho voluto sottolineare il punto di vista di un mio personaggio che non ero io stesso perchè volevo che il mio personaggio si assumesse tutte le sue responsabilità. Forse se fosse stata una storia ambientata nell'oggi contemporaneo non l'avrei scritta così, ma in questo romanzo mi piaceva l'idea di immaginare e sviluppare un personaggio sostanzialmente molto diverso da me per scelte, per formazione culturale e anche per il periodo storico in cui entrambi siamo situati. Mi piaceva che fosse un personaggio che parlava partendo dal suo punto di vista. In Sostiene Pereira probabilmente c'è anche il mio punto di vista, però volevo che ci fosse principalmente il suo. Volevo che fosse lui ad osservare il mondo, a guardarsi intorno, a prendere le sue decisioni, a fare le sue scelte…

…una forma di rispetto verso di lui?....
Tabucchi: Si, una forma di rispetto, ma anche una maniera di descrivere un personaggio che è molto altro da me. Certo in alcuni libri come Notturno indiano io sono più presente perchè è una realtà che anche se non ho vissuto in quel modo, perlomeno l'ho toccata, l'ho sfiorata, l'ho osservata. Invece immaginare un personaggio con i problemi di Pereira che vive nel '38 significava porsi anche dal suo punto di vista.

Spesso nei suoi romanzi aleggia l'ossessione del tempo, del ricordo che, allontanandosi dagli avvenimenti vissuti, li abbellisce e in qualche modo li falsifica.
Tabucchi: Le cose con il tempo possono migliorare o peggiorare. La memoria tende a modificare in peggio o in meglio le cose che noi abbiamo vissuto…

Si avverte spesso il senso di qualcosa che si è perso…
Tabucchi: Si, questo probabilmente è all'origine di molte delle nostre malinconie, questa perdita del tempo, delle cose, della vita. C'è però anche il piacere di sapere che in fondo siamo degli esseri in fieri e, come Pereira, si può cambiare, si possono fare nuove scelte, si può mutare opinione. La realtà può influenzarci in una maniera tale da renderci molto diversi da quello che eravamo.

Un'altro elemento molto presente nei suoi romanzi è la morte, che mi sembra sempre un po' legato a questo senso di qualcosa che si perde...
Tabucchi Si, inevitabilmente. Credo che una delle maggiori malinconie che una persona possa avere è quella di pensare che certe persone che gli sono state care non ci sono più. E' una perdita irreparabile. Resta solo il ricordo che è sempre troppo poco e queste persone mancano. Allora, inevitabilmente, si riflette su questi problemi.

L'Angelo nero mi sembra sia un libro che si distacchi molto dai suoi altri libri per una visione fortemente pessimistica della realtà. Sembra un libro sulle varie forme in cui si materializza il male nell'uomo. Cosa è questo 'angelo nero'?
Tabucchi: Forse era un momento della mia vita in cui avevo infilato gli occhiali scuri oppure credo che fosse arrivato il momento in cui nella carriera, nel percorso di uno scrittore si sente la necessità anche di soffermarci sulle cose negative che ci sono nel mondo e allora il nostro sguardo sulle cose si indurisce.

Nell'ultimo racconto, Capodanno, c'è la figura inquietante di un ragazzino che si fa portatore di una vendetta terribile, e c'è un altro racconto di Piccoli equivoci senza importanza che ha un tema molto simile. I figli in qualche maniera sono condizionati duramente dal passato dei padri, che in questo caso è anche il fascismo…
Tabucchi: Si, è la storia di una vendetta, di una rivolta, e forse anche di un bambino che scopre il male del mondo. C'è sempre una scoperta che prima o poi facciamo nella vita, specialmente quando siamo ragazzi, in cui si perde l'innocenza. Questo voleva essere il racconto della perdita dell'innocenza e del senso di cattiveria che viene quando la si perde nei confronti degli altri, di coloro che ci hanno derubato della nostra innocenza. Questo bambino è stato fortemente derubato della propria innocenza perchè scopre il passato turpe del padre. Forse in fondo c'è anche una leggera metafora, una leggera riflessione sulla nostra storia. Perchè anche la nostra generazione ha scoperto ad un certo punto cosa è successo nel nostro passato prossimo e ha capito di non poter dimenticare che c'è stato un olocausto. E forse il fatto di sapere che lo hanno compiuto anche i nostri padri ci fa sentire colpevoli anche noi.

Recentemente lei ha affermato che i più grandi avvenimenti della nostra epoca sono l'olocausto e la scoperta della limitatezza del mondo con la bomba atomica. In ciò si avverte un senso di responsabilità verso le nuove generazioni.
Tabucchi: Si. Anche la consapevolezza di questa enormità mostruosa che non ha nessuna giustificazione e nessun senso quale è stato l'olocausto che non riesco a vedere in un modo storico, mi sfugge come dimensione, come dimensione del fatto…

Non crede che questa enormità possa anche far crescere un sentimento di impotenza? A volte mi sembra molto diffusa l'incapacità di confrontarsi con dei problemi che sembrano enormi, che sembrano sfuggire al controllo dell'individuo e quindi non affrontabili…
Tabucchi: Questo non lo so. Certo questo dà un senso di grande frustrazione ma tutto sommato anche di grande rabbia. Il senso di impotenza credo che sia venuto a coloro che hanno vissuto questa terribile esperienza, e anche a coloro che l'hanno testimoniato. Se si pensa a Primo Levi c'è da parte sua questa incapacità di capirlo, questo fatto è talmente mostruoso che sembra inconcepibile. E allora quando siamo di fronte all'inconcepibilità nasce un senso di impotenza. Secondo le testimonianze che noi abbiamo oggi, il senso di rassegnazione era calato in quelli che avevano vissuto l'esperienza dei campi di concentramento. E poi se si pensa a I sommersi e i salvati, Levi spiega benissimo la differenza tra i pochi che riescono a testimoniare e gli altri che invece nascondono il passato e che non sono più capaci di parlarne e di rivisitarlo.

Non pensa che questo bisogno di semplificazione oggi presente nella nostra società sia anche dovuto al fatto che la complessità è ormai ritenuta non affrontabile e ci si rassegna a non affrontarla?
Tabucchi: Tutto sommato io credo che la democrazia fornisca le armi dialettiche per affrontare i problemi, fintanto che se ne possa discutere, che si possa avere varie opinioni sui problemi…Magari c'è il rischio di un eccesso di informazione, di un'overdose di informazione, non so come altro definirlo, che appiattisca e annulli sè stessa e ogni possibilità di una riflessione etica sugli avvenimenti. Però mi pare che oggi la dialettica ci sia.

Lei ha detto una volta che l'infanzia ha a che fare con la scrittura…
Tabucchi: Sarà l'influenza del fanciullino pascoliano…

E' anche questa una questione di sguardo, di innocenza dello sguardo…
Tabucchi: Si, una certa fanciullaggine che probabilmente lo scrittore si porta dietro tutta la vita. Tutto sommato il 'manifestino' pascoliano è una bella intuizione.

Requiem è stato scritto in portoghese. Come è stata questa esperienza di allontanamento dalla propria cultura per calarsi in una cultura diversa a tal punto da assumerne anche la lingua?
Tabucchi: Guardi, me lo sono chiesto spesso perchè è stata un'esperienza strana. Evidentemente ho visitato una sponda della mia anima che parla anche portoghese per cui i miei ricordi, o certi miei ricordi, venivano meglio in quella lingua che non in un'altra. Insomma, evidentemente questo fatto linguistico non è un fatto meccanico o un fatto squisitamente cerebrale, è anche un fatto affettivo, un fatto che appartiene all'anima. Non so perchè è successo. Non me lo so spiegare. Ci ho provato, ho anche letto libri di psicanalisi linguistica ma non sono arrivato a nessuna conclusione. So che è stata una bella esperienza, un'esperienza quasi lustrale, come se avessi ricevuto un battesimo, come se fossi stato bagnato da una fonte e mi ha dato molta felicità scriverlo. E' stata una bella esperienza. Però è molto difficile per me descrivere i meccanismi per cui ciò è avvenuto. Credo che per qualsiasi scrittore che ha scritto o abitualmente o sporadicamente, come è successo a me, in una lingua non materna il fatto resta abbastanza inspiegabile.

intervista a cura di Marcello Cella






Fernando Lopes e Antonio Tabucchi

Cineclub Arsenale aprile 1995

Tabucchi: Questo film (Il filo dell'orizzonte, ndr.) è un film molto curioso, molto metafisico, molto ben filmato, con una bellissima Lisbona notturna, con una bellissima regia e con un finale che non rispetta il finale del mio libro ma che è un'interpretazione di Fernando Lopes. Lopes ha pensato che io ero un uomo molto metafisico e molto bizzarro e allora ha fatto un finale bizzarro e metafisico. Un film che mi è piaciuto molto, devo dire, perchè è molto ben girato, molto ben realizzato, ma che purtroppo non si vede nei cinema italiani, non so perchè. Un film con una bella interpretazione di Claude Brasseur, e forse non altrettanto dell'attrice. Però è un film con degli attori molto bravi, molto professionali, che ha soprattutto il merito di non filmare una Lisbona pittoresca. Non c'è una Lisbona pittoresca. Fernando Lopes per fortuna non vede il pittoresco della sua città perchè è portoghese e vive a Lisbona. E siccome c'è una certa tendenza in questo momento a fare di questa città una città pittoresca, Fernando Lopes ha avuto l'accortezza, l'intelligenza, l'astuzia e anche la sensibilità di filmarla in una maniera metafisica e notturna che rende una città come Lisbona per quello che è, perchè Lisbona non è soltanto pittoresca come la vedono i registi del nord. E' anche una città che ha una sua vita enigmatica, strana, bella e anche normale, se vogliamo, come Fernando Lopes l'ha filmata.

Lopes: Questa mia storia del film, non la storia del romanzo di Antonio Tabucchi, ha un punto di contatto con la storia di Spino ed era da moltissimi anni che volevo fare un film tratto dal romanzo di Tabucchi perchè Antonio, oltre ad essere uno dei più grandi scrittori contemporanei, è apprezzato da me come dalla maggior parte dei portoghesi ed è stato in grado di scrivere un libro in portoghese e di farlo tradurre in italiano (Requiem, ndr.). Io non penso di essere tanto metafisico come lui. Devo dire che, realizzando Il filo dell'orizzonte sono caduto nella stessa trappola di Spino. Non è che io sia stato sul punto di morire come il protagonista del film ma solo ora considero che la storia di Spino mi riguarda. Quando Antonio parla di Lisbona, e sono pochi gli scrittori portoghesi che parlano di Lisbona come Antonio, penso che abbiamo dei punti di contatto che ci legano a Lisbona. Per me c'è un lato labirintico e misterioso di Lisbona che mi affascina, non solo la Lisbona di Robert Frank o di Alexandre O' Neill, ma la Lisbona di Monteiro, che se non è un padre è almeno un buon fratello di questi due, questa Lisbona notturna, serena, che a partire da qui è perfettamente consona con la storia. E' da lì che il film trae un aspetto onirico, fantastico che io penso stia molto bene con il cammino di Spino e per questo il film ha una svolta finale diversa rispetto al libro. Penso anche che da uno scrittore come Antonio Tabucchi che ha un mondo così personale è molto difficile fare un adattamento. Quella che io propongo nel film è una mia interpretazione personale, una mia lettura e lascio quindi al pubblico, come Antonio Tabucchi l'ha lasciata ai suoi lettori, la possibilità di leggere questa opera in una maniera completamente diversa.

Tabucchi: Il cinema portoghese è un cinema che purtroppo non è molto conosciuto, è un cinema di qualità che meriterebbe una grande diffusione in Europa. Purtroppo è schiacciato dalle produzioni più potenti che dominano il nostro mercato. Di Fernando Lopes vorrei dire che è un regista che possiede una tavolozza espressiva molto ampia, ha toccato molti generi nel suo cinema. Ha debuttato a Pesaro molti anni fa con un film intitolato Belarmino. Belarmino è un film verità, è un film su un pugile suonato che racconta la sua storia, la storia della sua carriera nel Portogallo degli anni Sessanta, in un Portogallo in cui tutti erano suonati e il pugile era sicuramente una metafora. Poi ha tentato di fare con grande abilità un cinema che toccava i temi della media borghesia con Uma Abelha na Chuva (Un'ape nella pioggia) che è un film tratto da un grande romanzo portoghese perchè a Fernando piace molto la letteratura e quindi si ispira molto ad essa. Poi c'è un altro film, Nos por Ca Todos Bem, che è un film che parla di una realtà portoghese in un momento difficile e euforico del Portogallo che è quello della 'rivoluzione dei garofani'. Poi c'è Nacionalidade: Português che è una rivisitazione in termini teneri, affettuosi e anche critici di una zona in cui Fernando Lopes è nato e un film sugli emigranti portoghesi che sono andati nel mondo e soprattutto in Francia. Infine c'è un film che si chiama Matar Saudades, che è un film molto duro, simbolico, che in qualche modo si rifà, attraverso le forme contemporanee del cinema europeo, alla tragedia greca ed è anch'esso un film che parla dell'emigrazione. Poi c'è Il filo dell'orizzonte.

Ho avuto l'impressione che nel suo film due temi siano stati più accentuati rispetto al romanzo originale e cioè l'identità del ricercante e del ricercato che sono gli stessi fili conduttori dell'opera di un grande scrittore latino-americano come Jorge Luis Borges che è di origini portoghesi. C'è davvero questo legame?
Lopes: Ho sempre avuto dei legami con Borges, ma questa volta non ne ho parlato. Siccome però nessun cineasta è innocente ho pensato a due film prima di realizzare questo, uno è di Orson Welles, Mister Arkadin, in cui c'è qualcuno che fa investigare il suo passato, e l'altro è La strategia del ragno di Bernardo Bertolucci che è basato su un piccolo romanzo di Borges.

Lei ha lavorato molto per la televisione portoghese ed ha anche diretto per diversi anni il secondo canale della RTP. Volevo sapere qual'è stata l'importanza della televisione nello sviluppo del cinema portoghese.
Lopes: Recentemente questa fase è finita. Ma il secondo canale della televisione ha avuto una grande importanza per il cinema portoghese. Il primo film che io ho coordinato e finanziato con la RTP, Cerromaior di Luis Filipe Rocha, e quasi tutti i migliori film portoghesi degli anni Ottanta, tutti i film di Manoel de Oliveira sono stati coprodotti con la RTP. Ma da due anni, con l'introduzione delle televisioni commerciali private, è praticamente finita la possibilità di coprodurre da parte della RTP, la televisione pubblica portoghese. Questo significa che si è creata una cattiva situazione per i registi portoghesi. Se non ci fosse una legge che obbliga il servizio pubblico a produrre film portoghesi credo che il cinema portoghese sarebbe ridotto a tre o quattro film all'anno e questo è terribile. Ma la situazione in cui ci troviamo in questo momento, per completare questo quadro negativo, è che l'88% delle sale cinematografiche portoghesi sono nelle mani del cinema americano e concretamente della United International che è un conglomerato di majors, cosa proibita negli Stati Uniti ma permessa in tutta Europa. Probabilmente l'Italia cinematografica non sarebbe nello stato in cui è senza questa presenza. Anche la distribuzione è nella solita situazione ed è per questo che quasi non vediamo film italiani, pochissimi film francesi e di altri paesi che non siano gli Stati Uniti. Ci sono solo due distributori indipendenti e adesso finalmente è arrivato un film straordinario come quello di Nanni Moretti (Caro diario, ndr.) che ha avuto e continua ad avere un enorme successo. Questo significa che c'è un altro spazio per cose che non siano film americani. Nel caso delle prime visioni dei film portoghesi noi dobbiamo batterci per obbligare gli esercenti ad adempiere alle leggi minime del paese e anche così quando un film portoghese viene presentato al pubblico, ha successo e raggiunge la quarta-quinta settimana di programmazione, e questo succede con frequenza, la famosa UIP si incontra con i distributori con i quali decidono che a partire da una certa data i film portoghesi, francesi, o spagnoli devono essere smontati per far entrare i film americani. Questa situazione è drammatica e nel caso di un piccolo paese è anche più mostruosa, ma è la stessa situazione di tutta l'Europa. L'Italia probabilmente è un grande esempio per il cinema europeo perchè questo nei suoi periodi migliori ha vissuto della grande vitalità del cinema italiano. Io sono solito dire che il cinema italiano portava al cinema europeo il sangue per completare la mente del cinema francese. Perchè il cinema è una forma di emozione e di affetti e questo si sta perdendo nel cinema moderno. Nel cinema moderno vediamo che si affermano l'Asia, la Cina, l'Australia, il Giappone ma quello che è in causa è la sopravvivenza del cinema europeo. Non lo dico perchè sono in Italia ma sono convinto che non ci sarà un grande cinema europeo senza un grande contributo del cinema italiano. Molti di noi sono stati formati vedendo il cinema italiano. Io non potrei filmare certe cose se non avessi visto Antonioni, Rossellini, Visconti, Fellini, Dino Risi, Comencini.

Io volevo sapere quale è stata la scena tratta dal libro di Tabucchi che lei ha trasformato in immagine con più difficoltà.
Lopes: C'è una scena completamente tratta dal libro che a me piace molto, quella che ho elaborato di più al momento delle riprese e mi è venuta più naturale: quando Spino va verso l'abisso, poi sale e passa dall'altro lato. Piccolo aneddoto: nella prima prova la cinepresa è caduta e tutti pensavano di dover andare dall'altro lato, nell'aldilà, ma io ho visto questo come un buon segno e penso che la scena sia riuscita bene. Se io potessi eleggere una scena in omaggio a quello che ha scritto Antonio sarebbe proprio quella scena.

Cosa ne pensa, signor Tabucchi, di tutti i film tratti dai suoi romanzi e quando scrive, pensa già in qualche modo al cinema?
Tabucchi: Intanto sono solo quattro. Quando scrivo forse penso anche un po' al cinema perchè il cinema mi ha formato. Le prime emozioni le ho avuto dal cinema perchè quando ero bambino e non sapevo ancora leggere i miei zii mi portavano a vedere i film. Le mie prime emozioni sono nate con Ladri di biciclette, con Sciuscià, con Roma città aperta, poi è venuta la lettura ma soltanto in un secondo momento. Quindi credo che non solo io, ma tutta la generazione degli scrittori degli anni Settanta e Ottanta sia stata molto influenzata dal cinema. Per quanto riguarda i film tratti dai miei romanzi penso che ci sia sostanzialmente un equivoco. Credo che i cineasti pensino di trovare delle storie che apparentemente sembrano delle storie compiute. Poi si trovano di fronte a dei buchi enormi da riempire e allora lì scatta il talento del cineasta nel riempire questi buchi narrativi. Credo che sia una sfida perchè non penso che i miei romanzi siano molto cinematografici. Sono cinematografici apparentemente, ma non sono cinematografici sostanzialmente. Allora la bravura del cineasta, secondo me, sta nel riempire queste zone vuote che io ho lasciato volutamente vuote e che lui deve riempire. Allora a questo punto una lettura dei miei romanzi dal punto di vista cinematografico diventa un'interpretazione. Devo dire che mi diverte molto vedere queste interpretazioni dei miei romanzi perchè è come leggere una recensione su un giornale, anzi più che una recensione perchè questa è una trasposizione in immagini, è una traduzione in un altro linguaggio. Il mio atteggiamento è sempre di stupore e di divertimento e anche di curiosità. perchè è sempre curioso vedere come qualcuno legge con un altro linguaggio artistico i libri che ho scritto io.

Lopes: Solo una piccola nota. E' per questo che è così affascinante lavorare sui libri di Antonio. Perchè sembra facile fare un film dai suoi libri, ma siccome lui ha un'ironia molto perversa il regista corre proprio il rischio di morire alla fine del film se tenta di trascrivere letteralmente un libro come quelli di Antonio, cosa assolutamente impossibile. E' necessario lasciarsi trasportare, ed è quello che io ho tentato di fare, da un'atmosfera, da un personaggio, da un certo umore, pensare ad un pittore, nel mio caso De Chirico, e vedere quello che io sono in grado di fare, una specie di musica che io posso trarre dalla musica delle sue parole. E' stato quello che io ho tentato di fare. Mai mi passerà per la testa di trasferire esattamente ciò che sta dietro il libro di Antonio.

Volevo sapere cosa pensa Tabucchi del diverso finale del film e cosa pensa Lopes del finale originale.
Lopes: Il finale del libro è stato quello che mi ha procurato più lavoro perchè Antonio lo lascia molto aperto. Inoltre ha un tale umorismo. Io direi che Antonio in quel finale del libro ride di sè stesso e anche del lettore. Io sono stato molto più semplicistico di lui, non ho avuto umorismo. Nel finale ho seguito il mio personaggio fino alla morte. Ho avuto paura che mi succedesse, se avessi tentato di fare un finale come quello del libro, la stessa cosa che è accaduta in un altro film adattato da un libro di Antonio, Notturno Indiano (di Alain Corneau, ndr.), che è un film bellissimo ma che sbaglia completamente il finale. Sono rimasto molto colpito da questo. Con questo non vuol dire che io lo abbia indovinato.

Tabucchi: Beh, io in questo libro ho lasciato aperta la porta su una sorta di risata nel buio di qualcuno che ritrova forse sè stesso, forse il vuoto, forse l'inconsapevolezza della vita. Non volevo dare un finale chiuso a questo romanzo perchè è una meditazione sulla vita e sulla morte e credo che se gli avessi dato un finale chiuso avrei rischiato di fare la fine di certi piccoli o grandi filosofi che danno un senso di chiusura alla nostra vita. Non volevo dare degli insegnamenti a nessuno. Volevo lasciare un finale aperto, una possibilità ai lettori e, fra questi lettori, ho trovato un regista che ha fatto questa lettura. Credo che il finale di questo libro resti molto aperto, alla mercè di tutti quelli che lo leggono. Ciascuno di noi quando legge un libro che non ha un finale impositivo ma aperto, possibilista, può dare la sua lettura. Quindi credo che il mio libro sia aperto a tutti i lettori e anche a me che lo rileggo ogni tanto e che mi chiedo che cosa ho voluto dire.

Volevo sapere perchè a Tabucchi non è piaciuto come è stato impostato il personaggio femminile da Lopes. Qual'è la discrepanza? Come mai questo personaggio non riesce ad avere una vita propria ed è sempre più dipendente da quello maschile man mano che la narrazione procede?
Tabucchi: A me personalmente il personaggio femminile del film non è piaciuto molto ma forse questo dipende dall'interpretazione dell'attrice. Credo che la scelta dell'attrice non sia stata indovinata, ma questo dipende da molte cose complesse. Credo che si sarebbe dovuto trovare una donna più interiore, meno esteriorizzante, meno apprensiva, meno 'urlante' di questa attrice. Forse ci voleva una donna con un grande spessore psicologico, un'attrice che fosse veramente una compagna per questo personaggio. Io nel mio libro non ho dato un grande spessore alla compagna di Spino. Tuttavia si indovina che in fondo è una sua complice ma nell'interpretazione di Andrea Ferreol non viene fuori una complicità, viene fuori piuttosto una discrepanza. Lei è contro Spino, non è sua complice. Forse ci voleva un'attrice più eterea, più 'leggera', più interiore ma queste sono le cose del cinema e io non le so giudicare.

Lopes: Devo confessare che anch'io non sono rimasto soddisfatto del modo in cui ho trattato il personaggio femminile perchè era difficile trattarlo. Data la maniera in cui avevo trattato Spino ho trattato il personaggio della compagna come qualcuno che ha i piedi per terra ed emozioni molto immediate. Nel film c'è anche un altro personaggio femminile, la ragazza del locale, che rappresenta invece la donna, l'amante, la prostituta, forse la morte. E' un po' una dark lady del cinema americano. E' per questo che ho lasciato un po' cadere la compagna di Spino anche se sono abbastanza d'accordo con Antonio che, per comprendere meglio Spino, il personaggio di Andrea Ferreol avrebbe dovuto esere più a sè stante e più elaborato. Ma a volte ci sono problemi di casting e di regia…

Come mai, signor Tabucchi, in fondo ai suoi libri, lascia spesso delle note come ad aggiungere qualcosa ad una seconda lettura?
Tabucchi: Gli autori che non si spiegano bene nei libri, come non mi spiego io, cercano sempre di spiegarsi in una nota a margine e allora si inventano questi pretesti di note a margine per spiegare a qualcuno che è il nostro lettore o forse principalmente a noi stessi che cosa è successo in questo libro. Perchè scrivere un libro credo sia come vedere un film. Non come scrivere un film o come fare un film, ma come vedere un film. Uno arriva alla fine e dice: ma cosa effettivamente è successo? E allora si ha bisogno di conforto. Il conforto lo troviamo nei lettori che ci vengono dati, in noi stessi e in piccole note a margine che possiamo fare. Probabilmente è un alibi, probabilmente è una scusa, probabilmente è anche un chiedere perdono di quello che abbiamo scritto o di quello che non abbiamo saputo scrivere. Tuttavia è una forma di conciliazione con chi ci legge, con chi potrebbe leggerci, e con noi stessi che ci siamo letti mentre ci scrivevamo. Questa è la ragione della nota a margine.

Siccome è stato citato Notturno indiano…Io ho visto il film qualche anno fa e in una scena, mentre il protagonista viaggia su un treno, mi pare che vada a Madras, incontra un personaggio, Peter Schlemil, che è il personaggio di un libro di Chamisso. Qual'è il suo ruolo in questo film?
Tabucchi: Questo era un racconto che io avevo inserito inizialmente nel romanzo Notturno indiano. Poi mi sembrava troppo drammatico per un libro in fondo 'piatto' e 'tranquillo' come Notturno indiano. E allora diventò una novella per un libro di racconti, Piccoli equivoci senza importanza, che si chiamava appunto I treni che vanno a Madras. Il regista, che si era documentato su quello che avevo scritto, aveva letto anche questo libro e questa novella gli piacque molto. Questo racconto che io avevo tolto per sdrammatizzare a lui invece serviva molto per drammatizzare l'azione perchè aveva paura che in fondo un libro così piatto, così unisono come Notturno indiano potesse stancare lo spettatore se non c'era una scena forte. Gli sembrò che la scena forte potesse essere quella del racconto tratto da Piccoli equivoci senza importanza. Ci trovammo d'accordo su questa cosa perchè in fondo la novella era nata per Notturno indiano, anche se poi non vi era stata inserita. Lui la utilizzò e tutto sommato mi sembra una bella scena che dà un po' di vigore ad un film abbastanza pacato e monocorde come il suo anche se dotato di una grande suspense.

a cura di Marcello Cella

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