domenica 6 marzo 2016


I Balcani occidentali fra storia e realtà
Il Balkan Florence Festival



Fra il 25 e il 27 febbraio scorso si è svolta a Firenze la quarta edizione del Balkan Florence Festival, una piccola, ma interessantissima manifestazione culturale organizzata da Oxfam, onlus internazionale fra le più attive a livello sociale nei Balcani e in altre parti del mondo, in collaborazione con la Regione Toscana, Quelli della Compagnia, il Sarajevo Film Festival e il Tirana Film Festival, dedicata al cinema dei Balcani Occidentali. La tre giorni è stata una intensa full immersion nella realtà sociale e nella storia di Serbia, Croazia, Kosovo, Slovenia e Bosnia, con rimandi molto forti a quanto sta succedendo nei Balcani anche in questi giorni. I film presentati hanno rivelato anche cinematografie molto vive sia sul piano linguistico, che produttivo, e molto interessate a riflettere sulla propria storia e sulle proprie realtà in modo molto aperto e poco ortodosso. Sul piano linguistico è difficile in molti casi fare una distinzione netta fra cinema di finzione e documentario perchè entrambi i generi vengono utilizzati dai cineasti di questi paesi in modo molto libero e personale per raccontare realtà in cui la storia viene vissuta ancora in modo molto viscerale e il passato non sembra mai passato davvero con risultati di grande qualità espressiva. 


E' il caso del bellissimo documentario della regista croata Tiha Gudac, “Goli/Naked Island” (2014), in cui la riflessione storica della giovane autrice sui lati oscuri della Jugoslavia di Tito nasce a partire dalla sua vicenda personale: la storia dell'amatissimo nonno scomparso per quattro anni dalla vita della nipote perchè incarcerato nella famigerata prigione di Goli Otok, un'isola vicino alla costa croata, in cui venivano rinchiusi gli oppositori politici del regime di Tito. Un viaggio oscuro e tormentato all'interno di una storia familiare e pubblica condotta con grande intensità dalla regista croata con la collaborazione fondamentale del montatore serbo Dragan Von Petrovic, a dimostrazione di quanto siano fittizi gli steccati nazionali e culturali imposti dalla storia.  


Un altro grande film presentato all'interno della rassegna fiorentina, il serbo “Krugovi/Circles” di Srdjan Golubovic (2013) racconta invece una storia abbastanza nota a chi si occupa di Balcani, avvenuta nel 1993, durante la guerra civile in Bosnia Erzegovina, quando, in una piccola cittadina, Treblinje, venne ucciso un soldato delle milizie serbo-bosniache dai propri commilitoni perchè aveva difeso un suo amico musulmano dalle loro angherie. Più che il fatto in sé, che comunque viene raccontato in un suggestivo flashback dilatato dalla memoria dei protagonisti, il regista serbo si sofferma sulle conseguenze dolorose di questo avvenimento sulle vite di chi è sopravvissuto, il padre del soldato, indurito dl dolore, il figlio di uno dei commilitoni assassini che si è suicidato poco tempo dopo, l'ex fidanzata emigrata in Germania insieme al figlio piccolo, in fuga da un matrimonio sbagliato e da un marito violento, aiutata proprio dall'amico musulmano salvato a suo tempo, a prezzo della vita, dalla violenza delle squadracce serbo-bosniache, e l'amico di un tempo, anch'esso emigrato in Germania, che, medico, ritrova in ospedale come paziente proprio il capo di tali famigerate milizie. Il confronto fra questi personaggi, condotto magistralmente da Golubovic, è un viaggio fra le macerie ancora fumanti di un passato che rifiuta di essere rimosso e nascosto nelle soffitte della storia. 



Una storia di vendette dalle motivazioni oscure che continua a perseguitare una madre e i suoi due figli è anche quella raccontata dal film sloveno “Drevo/The Tree” (2014) di Sonja Prosenc, raccontata dal punto di vista dei tre protagonisti, costretti a vivere una vita da reclusi in un piccolo villaggio a causa dei pericoli, mai esplicitati chiaramente, che circondano le loro vite dopo un incidente in cui è morto un amico del figlio più grande. L'incidente innesca il desiderio di vendetta della famiglia del ragazzo morto che non avrà pace fino a quando non sarà soddisfatta. Un film di grande impatto visivo e dagli intensi risvolti psicologici e simbolici grazie anche alla bella prova attoriale dei tre protagonisti. 


Oltre alla riflessione dolorosa sulla storia recente la rassegna di film presentata dal Balkan Florence Festival ha offerto anche un altro elemento tematico molto forte, quello dell'emigrazione, quella di chi dai Balcani è emigrato nei paesi del Nord Europa e quella attuale di chi dall'Africa o dai paesi arabi fugge nei Balcani o li attraversa con la speranza di approdare anch'esso in Germania o in altri paesi ricchi. 
E' questo il caso di documentari come il bellissimo “Logbook_Serbistan”(2015) del vecchio regista serbo Zelimir Zilnik, già vincitore di un Orso d'oro a Berlino nel 1969 con il film “Opere giovanili” (e autore, nell'ambito del festival, di un incontro su “Il cinema jugoslavo da Tito ai giorni nostri”) o il kosovaro “Trapped by law” (2015) di Sami Mustafa, ma anche di film di finzione anch'essi molto intensi come “Babai” (2015) del kosovaro Visar Morina o il montenegrino “Djecaci iz ulice Marska i Engelsa” (“The kids from Marks and Engels street”, 2014) di Nikola Vukcevic. 


In “Logbook_Serbistan”, girato l'anno scorso prima di quella che poi è diventata l'emergenza migranti nei Balcani, Zilnik, con uno stile registico che ricorda molto quello del “cinema verità”, segue il viaggio irto di ostacoli di due giovani emigranti africani e di un mediatore siriano lungo la strada che dalla Serbia li dovrebbe portare verso l'Ungheria, un viaggio che fornisce molti punti di riflessione dolorosi, ma spesso anche spiazzanti e umoristici, allo spettatore sulla condizione dei migranti e di chi li accoglie.  


Film dai risvolti kafkiani, se non fosse drammaticamente reale, è l'incredibile vicenda, raccontata dal documentario “Trapped by law”, di due fratelli kosovari, cantanti rap, residenti con la loro famiglia in Germania da almeno 20 anni, che da un giorno all'altro a causa di un permesso di soggiorno non del tutto in regola, vengono letteralmente deportati in Kosovo, paese in cui non hanno mai vissuto, e da cui cercano disperatamente di partire e ritornare in Germania. Fra concerti, frammenti di quotidiana vita precaria e follie burocratiche si dipana la vicenda tragicomica di questi due fratelli che per la prima volta si trovano a confrontarsi con le proprie radici familiari e culturali, prima di decidere, dopo tre anni di scontri con il muro di gomma della burocrazia migratoria, di ritornare a Germania da clandestini. 


Un percorso simile a quello dei due fratelli di “Trapped by law”, è quello seguito dal protagonista di “Babai”, un bambino di 10 anni che decide di raggiungere il padre emigrato per lavoro dal Kosovo in Germania negli anni '90, affrontando un viaggio in cui la sua caparbia ingenuità si scontra con un mondo adulto spietato. 


Mentre del tutto inverso è il viaggio affrontato da Stanko, il giovane protagonista montenegrino del film di Vukcevic, che dall'Inghilterra è costretto, dopo vent'anni, a tornare nel proprio paese d'origine a causa della morte del padre e scopre che è tutto cambiato: i suoi amici sbarcano il lunario con la malavita di Podgorica e anche la via in cui è cresciuto, “Via Marx e Engels”, ha cambiato nome e della storia comunista a nessuno importa più niente, immersi tutti in sogni straccioni di capitalismo degenerato. 


Infine della bella rassegna fiorentina vanno citati almeno altri due film documentari, “Lijepo mi je s tobom znas” (“I like that super most the best”, 2015) della regista croata Eva Kraljevic, e il bosniaco “Rus/Russian” di Damir Ibrahimovic e Eldar Emric, che preferiscono raccontare storie più intime o di personaggi che vivono ai margini della società. Il documentario della Kraljevic racconta in modo molto intenso e poetico la storia del suo rapporto bello e doloroso al tempo stesso con la sorella down fino all'inevitabile separazione. 


Mentre “Rus/Russian” è la storia tragicomica di un personaggio dagli incredibili risvolti esistenziali e narrativi: maltrattato da bambino dal padre diventa ladro e tossicodipendente fino a fuggire in Russia dove diventa milionario in modo rocambolesco per poi ritrovarsi pressochè senza dimora e vessato dagli strozzini in una malinconica Sarajevo dove ritrova sé stesso attraverso l'amore e il teatro.

Marcello Cella
Carte di Cinema
marzo 2016

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