venerdì 31 luglio 2020


Anina Ciuciu, un avvocato contro l’esclusione

“Sono rom e ne sono fiera. 
Dalle baracche romane alla Sorbona” 






“Un’ora più tardi, dopo aver camminato a passo svelto, eravamo tutti raggruppati in una casa. Bisognava aspettare il passeur, che arrivò qualche minuto dopo. Posso ancora sentire il rumore degli ammortizzatori scricchiolare sul lastricato della strada. Avevamo salutato molto velocemente la nonna e tutti i familiari che non sarebbero partiti. (…) 
Non sapevamo per quanto tempo saremmo stati via, né verso cosa stessimo andando. (…) 
Tutti i nostri cari ci raccomandarono di fare attenzione, prima di abbracciarci con le lacrime agli occhi. (…)
E poi il passeur ci mise fretta. Non sembrava accomodante né molto educato. Mamma riuscì a trattenere le lacrime davanti ai parenti; io non le nascosi.
Ero triste e felice al tempo stesso. Triste di dover lasciare il nonno che amavo tanto e le due nonne che mi avevano cresciuta, triste di abbandonare il quartiere. Ed ero felice all’idea di andare in Francia, quel posto così lontano che papà ci aveva descritto come la patria di Flaubert, Corneille, Victor Hugo. Quella Francia la cui grande storia e i grandi uomini mi facevano sognare.
Salimmo sul furgone, un vecchio furgone blu scuro che emanava uno spaventoso odore di benzina. Prendemmo posto in quel camioncino, con la testa piena di sogni e convinti di arrivare presto a destinazione.
Mio padre era seduto davanti, accanto al conducente. Qualche minuto prima l’avevo visto tirare fuori dalla tasca un mazzo di banconote, dei marchi. In seguito appresi che aveva pagato cinquecento marchi a testa, all’epoca una vera fortuna: quei soldi rappresentavano un anno di stipendio e di risparmi.
In quel veicolo che non era propriamente nuovo fiammante, gli adulti e mia sorella maggiore si ammassarono sui due sedili posteriori. Io, con i miei cugini e la mia sorellina, salii sul baule, dove normalmente si mettono le valigie.
C’erano almeno dieci bambini nel bagagliaio! Dieci bambini seduti gli uni accanto agli altri, in una posizione scomoda, uno contro l’altro, ma contenti di stare insieme. Ora capivamo perché bisognava portarsi solo lo stretto indispensabile. Ma poco importava, per noi era l’inizio di una grande avventura.
Il furgoncino si mise in moto in piena notte. Ci furono lacrime,  cenni di mani, occhi arrossati. E poi la strada si allontanò…
Eravamo seduti in fondo e non potevamo evitare di guardare fuori, vedendo il nostro quartiere sparire a poco a poco. Quindi, a sua volta, la città si dissolse. Sentivamo che ci stavamo davvero allontanando da tutto ciò che conoscevamo.”



No, non si tratta di qualcuno dei numerosi migranti africani o mediorientali che attraversano invisibili le nostre terre in cerca di un futuro migliore, ma di una bambina rom, in fuga dalla povertà e dalla discriminazione che vive nel suo Paese, la Romania, verso quella che appare come la patria dei diritti dell’uomo e della cultura europea, la Francia, un luogo dove ricominciare a vivere e a fare progetti. Anche se per arrivarci dovrà passare anche attraverso il terribile Casilino 900 di Roma, il più grande campo rom d’Europa all’epoca, poi sgomberato nel 2010, con le famiglie rom divise fra i cosiddetti “villaggi” di Candoni, Salone e Gordiani, ghetti etnici non meno tremendi.
Il libro di Anina Ciuciu, “Sono rom e ne sono fiera. Dalle baracche romane alla Sorbona” (Edizioni Alegre), da cui è tratto questo brano, è del 2016, ma è stato pubblicato in Francia nel 2013. Quindi non è una novità editoriale. Ma la vicenda raccontata da Anina, con le peripezie della sua famiglia dalla Romania al tremendo campo nomadi Casilino 900 a Roma e poi ai marciapiedi della Francia per chiedere l’elemosina a passanti ostili o indifferenti, fino all’incontro cruciale con una donna di grande sensibilità e cultura che aiuterà lei e la sua famiglia ad uscire dalla povertà e dalla clandestinità e a sostenere Anina fino ai più alti gradi dell’istruzione pubblica, hanno continuato a risuonarmi dentro in questi anni ogni volta che mi è capitato di leggere i racconti di migranti in fuga dai propri paesi di origine o di raccogliere i loro racconti quando mi sono giovato dei loro servizi. Come pochi giorni fa, quando due addetti al montaggio dei mobili di una grande azienda multinazionale, un giovane tunisino e un signore più anziano marocchino, sono venuti a casa mia per montarmi un armadio che avevo acquistato e il più giovane dei due, ultimo di 12 fratelli, mi ha raccontato le sue peripezie per arrivare in Italia anni fa con la sua famiglia (moglie e tre figli) con una piccola imbarcazione a motore pagando 1500 euro a testa agli scafisti. 
Del resto il pregio di questo libro e della sua giovane scrittrice è proprio quello di raccontare e riflettere sulle proprie disavventure esistenziali non rimanendo chiusa nella propria autobiografia, ma facendo di questa sua storia personale una storia esemplare e paradigmatica di una condizione di discriminazione, di esclusione e di sfruttamento che non riguarda solo il popolo rom, ma si applica costantemente a chiunque per motivi di necessità, che sia economica o di altra natura poco importa, sia costretto a fuggire dalla propria terra alla ricerca di una vita migliore. Una condizione che ovviamente va a tutto vantaggio del paese che li “accoglie” per tutta una serie di motivi, politici, economici, sociali, ecc. che qui non importa sottolineare. Ma la bellezza e l’utilità di questo libro non sta solo nella sua denuncia circostanziata e dettagliata di questa condizione di emarginazione, supportata da una capacità di scrittura e di riflessione non comuni, ma anche nel racconto del riscatto da tale condizione, di come sia possibile, grazie ad una volontà di ferro e alla coscienza di quale possa essere la strada per la propria emancipazione e integrazione che passa necessariamente attraverso l’istruzione, la scuola, dai quaderni e dai disegni ingenui dei bambini fino ai libri che permettono di arrivare alla laurea (in giurisprudenza, nel suo caso). 
“Sono rom e ne sono fiera” non è quindi solo un libro di denuncia scagliato contro le politiche e i comportamenti discriminatori dei “gagiè”, ma anche un libro rivolto alla propria comunità di appartenenza, in particolare ai giovani, e alle giovani donne rom ancora più espressamente, perché cominci a liberarsi dagli stereotipi che gli sono stati affibbiati dalle società che (non) li accolgono, e quelli pietistici spesso non sono meno pericolosi di quelli apertamente discriminatori, e che in qualche modo paradossalmente li rassicura, li comprime e li eternizza nella propria condizione di minorità sociale ed esistenziale. Si può dire che il libro di Anina Ciuciu ne contiene due, quello che racconta le proprie drammatiche vicende personali e quello che da queste vicende trae spunto per una analisi senza sconti delle dinamiche sociali e culturali che attraversano le società occidentali quando entrano in contatto con rom e migranti, e di quelle, perverse, che specularmente si attivano all’interno delle comunità discriminate e che colpiscono soprattutto le donne che così diventano il bersaglio di tre tipi diversi di discriminazione: quella di genere, quella di classe e quella di razza. 
Anina è infatti ben cosciente che senza una liberazione, per tutti, dagli stereotipi e dalle politiche discriminatorie e xenofobe nessun passo avanti potrà mai essere fatto sulla strada dell’emancipazione del popolo rom e di tutti quei migranti che affollano invisibili, ma utilissimi, le nostre società, arricchendole con il loro lavoro, la loro cultura e con una visione del mondo che fortunatamente non si ferma alle asfittiche porte di casa nostra. 
Del resto, come scrive nella prefazione Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio che da anni si batte a Roma e altrove contro la discriminazione del popolo rom e per la valorizzazione della sua cultura, “i rom sono la più consistente minoranza presente sul territorio europeo. Nei paesi membri del Consiglio ‘Europa (47 paesi, circa 800 milioni di cittadini) gli appartenenti alle comunità rom sono stimati intorno ai 12-14 milioni di individui, mentre sono circa 6 milioni quelli che vivono all’interno dell’Unione Europea. Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa in Italia è stimata una presenza di rom e senti che oscilla tra le 160.000 e le 180.000 unità, circa lo 0,25% del totale della popolazione italiana, una tra le percentuali più basse del continente. 
Nel nostro immaginario collettivo, il più delle volte costruito e alimentato da un messaggio politico amplificato dai media, il termine “rom” si accompagna a quello di “asociale”, abitante della periferia più estrema, spettro di paure che affondano le radici nella nostra infanzia.
Eppure rispetto ai quasi 180.000 rom presenti nel nostro paese solo 35.000 vivono nei cosiddetti “campi nomadi”, in condizione di povertà, precarietà abitativa ed emarginazione sociale. I restanti risiedono in abitazioni convenzionali, lavorano, frequentano le scuole, contribuendo alla crescita  di un paese e di un continente dei quali si sentono pienamente parte. Nessuno ha una contezza esatta di quanti siano, sa dove si trovino e conosce il loro passato. Sono cittadini “mimetizzati”, che la paura di essere discriminati ha reso ombre prive di un’identità dichiarata e riconosciuta.”
Perciò “vi supplico, quando domani per strada incrocerete una signora con la schiena curva, con un cartello di cartone sulle ginocchia, quando vedrete che accanto a lei c’è seduta una bambina dai capelli lunghi e neri, non giudicatela, non insultatela, non picchiatela. 
Ho vissuto tutto questo e ne sono stata segnata a vita. Ma oggi, davanti a me, ci sono le porte della Sorbona che si aprono.”
Oggi Anina Ciuciu è un avvocato che si batte in Francia per i diritti umani di tutti coloro che vengono ingiustamente esclusi e discriminati.


Marcello Cella



La puntata di Balkania del 16 dicembre 2016 con lo speciale su Anina Ciuciu, autrice del libro "Sono Rom e ne sono fiera" (Edizioni Alregre, 2016) e protagonista di un emozionante incontro pubblico a Pisa l'8 dicembre 2016 presso la sede della locale Tavola Valdese, organizzato da una serie di associazioni di volontariato come Articolo 34, Africa Insieme, Associazione 21 luglio, Associazione Civic, Famiglia Aperta, Scuola Mondo di San Giuliano Terme e il nostro stesso programma radiofonico, Balkania. Musiche della tradizione rom.






Nessun commento:

Posta un commento