martedì 7 luglio 2020

Una riflessione sui documentari di Giacomo Verde, videoartista, pittore, attore, regista, attivista e molto altro, recentemente scomparso.

Lo sguardo laterale 
I documentari di Giacomo Verde





“Ho sempre pensato che il valore delle immagini video sta prima di tutto nel loro essere comunque astratte. Più del cosa rappresentano è importante il come: il colore, la luminosità, il contrasto, il ritmo e la qualità del movimento interno o del montaggio, il rapporto con il suono”.
Giacomo Verde, da “Artivismo tecnologico - Scritti e interviste su arte, politica, teatro e tecnologie”, Pisa, BFS Edizioni, 2007, p.63

E’ difficile incasellare l’opera di Giacomo Verde, una di quelle personalità artistiche che sfugge sempre alle definizioni e alle mode culturali. Certo è che la sua ricerca che in più di quarant’anni di lavoro ha spaziato dall’arte al teatro, dal video al documentario, dall’attivismo politico all’analisi teorica dei linguaggi, dalla crossmedialità alla controinformazione, dalla pittura alla musica, ha rappresentato per l’asfittico e spesso opportunista panorama culturale italiano una ventata di aria fresca, con porte e finestre linguistiche aperte e sbattute in faccia al conformismo. 



Il fulcro del suo lavoro sta nell’incontro fecondo fra arte e impegno sociale e politico, fra etica ed estetica che mai ha abbandonato nel suo percorso artistico ed esistenziale, nella sua produzione di “azioni e processi” più che di oggetti. Tutta la sua opera è una continua contaminazione di linguaggi espressivi e di generi, una continua riflessione senza sconti e senza ipocrisie sui meccanismi economici, sociali e culturali che regolano le nostre società, un inesausto sforzo di liberare sguardi e menti dai pregiudizi e dai dogmi che li incatenano e gli impediscono di sperimentare la felicità che si prova nell’attraversare mondi e incontrare gli altri, l’Altro, dimenticandosi per una volta, o per sempre, del proprio Ego e confluire nella infinita creatività collettiva. Del resto la sua concezione dell’arte può essere racchiusa in una affermazione come questa: “Dipingere è qualcosa che si riferisce alla propria espressione personale (…). Preferisco fare qualcosa di più collettivizzante, interessante e utile al mondo”. 
Quindi è sempre difficile dare una paternità autoriale al suo lavoro, perché, pur non rinunciando mai ad un evidente livello interpretativo del reale mutuato dai vari linguaggi utilizzati, Giacomo Verde rifiuta il privilegio autoreferenziale nel definirsi “autore”, a favore di una creatività collettiva, il General Intellect, che si esprime negli infiniti linguaggi e materiali della vita quotidiana, nella loro poesia incontaminata dalla ragione economica. E’ qui che sua la “visione orizzontale” della società, che nega gerarchie e modelli culturali ed estetici imposti dall’alto e a senso unico si incontra con il suo costante tentativo di umanizzare la tecnologia, di democratizzarne i meccanismi, di metterli al servizio della creatività di tutti gli umani. E’ qui che sta la sua ricerca di “un’arte nascosta nelle attività quotidiane, diffusa, che sa parlare anche delle zone d’ombra senza bruciarle alla luce, che non si chiude negli spazi privilegiati di musei e gallerie nel nome di una propria “originalità”, un’arte che non inibisce, ma stimola la creatività di ogni individuo, che segue i principi di “Bellezza e Giustizia” (come scritto da James Hillman) piuttosto che i soli principi di “economia politica” e affermazione personale”. In questo senso si fatica a dedurre nella sua immensa produzione artistica qualcosa che possa essere indicato e definito esplicitamente e senza dubbio alcuno come “documentario” nel senso di un genere cinematografico dedito più di altri alla riflessione sulle realtà sociali della nostra epoca, perché tutta la sua opera potrebbe essere definita in questo modo. Non c’è una produzione espressiva di Giacomo Verde che non sia una riflessione sulla realtà sociale, culturale, politica, economica della nostra epoca utilizzando di volta in volta un determinato linguaggio, e non c’è opera di Giacomo Verde che non sia contemporaneamente una riflessione sulle modalità espressive, sulle potenzialità e i limiti di un determinato linguaggio all’interno dei meccanismi sociali in cui si manifesta. Quindi qualcosa che svela la propria natura politica non in base al tema di cui tratta, ma in base al processo da cui nasce, qualcosa che non si limita a criticare il sistema capitalistico come bersaglio culturale e artistico di denuncia, ma come processo di pensieri e azioni che ne legittimano l’esistenza anche quando apparentemente lo criticano, perché non escono da quell’individualismo “borghese”, da quella personalizzazione dell’opera d’arte che è connaturata alla concezione dell’arte e della cultura unicamente come “genere”, cioè come tassello da inserire placidamente e senza intoppi in un “mercato”. 



In questo senso anche i lavori che più decisamente possiamo definire come “documentari” non escono da questa logica espressiva e politica. “Solo limoni” (2001), “documentario poetico sui fatti del G8 di Genova del 2001”, e “S’era tutti sovversivi. Dedicato a Franco Serantini” (2002) in effetti rispondono a ciò che Giacomo Verde definisce come “documentario creativo”, cioè un’opera cinematografica che non si limita a riprendere il reale, a registrarlo nella sua, impossibile, oggettività, e che non rinuncia a proporre un proprio punto di vista, etico ed estetico, “d’autore”, inteso come entità collettiva e non individuale. Semmai, per quanto riguarda il reale, Verde cerca non di riprenderlo, ma di “sorprenderlo”, secondo quella tecnica dello “straniamento” ben esplicitata dal sociologo e mass-mediologo Mario Perniola che lo concepisce come un “trasporre l’oggetto delle propria percezione abituale in una nuova percezione imprevista e sorprendente”. 






Questa tecnica è particolarmente evidente in “Solo limoni” che racconta dal vivo e in prima persona (plurale) i drammatici avvenimenti del G8 di Genova del 2001 secondo una logica inedita e, appunto, sorprendente, sghemba rispetto alle due narrazioni dominanti di quegli avvenimenti, quella del Potere e quella, contrapposta, ma spesso speculare del Movimento. Nel libretto che accompagna la pubblicazione del video, “Il popolo dei limoni”, Giacomo Verde lo presenta in questo modo: “Abbiamo scelto di parlare di limoni. Abbiamo scelto un approccio sghembo, un punto di vista apparentemente slogato e slegato dal ferro, dal fuoco, dal fumo, dal sangue di Genova e se abbiamo scelto di parlare d’altro è stato perché fosse chiaro che era proprio di Genova che volevamo parlare, è stato perché non volevamo cadere nella trappola vetero-ideologica del presunto impegno che mortifica la forma e fa ammalare di elefantiasi i contenuti, poiché Genova è stato qualcosa che ha travolto tanto i contenuti quanto le forme del nostro pensare, del nostro agire, del nostro immaginare, del nostro assentire o del nostro ribellarci. Un attimo prima che tutto fosse definitivamente sepolto dalla polvere delle Twin Towers. Abbiamo scelto lo spostamento laterale, metonimico, per sottrarci al disinganno di chi credeva che Genova fosse solo l’inizio, mentre oggi si rivela la fine di un certo modo, di un certo mondo e dunque, ovviamente, il principio di un inizio davvero nuovo, stupefacente, terribile, imprevedibile e inevitabile”. Coerentemente con questo assunto “Solo limoni è un’opera che spiazza lo spettatore fin dall’uso spericolato e anti-realistico della colonna sonora, piena di echi e di inquietanti suoni elettronici che sembrano prefigurare il dramma collettivo che si va compiendo a livello visivo, con le cariche selvagge della polizia, i caroselli delle autoblindo, le reazioni violente dei manifestanti, i pestaggi assurdi, le incursioni dei “black bloc”, le auto incendiate, il sangue, le urla, gli insulti, fino al momento culminante della morte di Carlo Giuliani. Ma Giacomo Verde non si limita alla registrazione degli eventi e usa il livello sonoro per raccontare ciò che avviene a Genova secondo un’altra ottica, un’altra interpretazione che gli viene suggerita dai testi letterari che lo accompagnano, dal “Don Chisciotte” di Cervantes alle parole di Lello Voce, Patrick Chamoiseaux, Elio Pagliarani, Bertold Brecht, Piero Jahier, Roque Dalton, Elemire Zolla e dello stesso Giacomo Verde. Inoltre la telecamera spesso devia dall’”azione” principale e si avventura nelle strade laterali, fisiche e narrative, che inseguono spesso altri eventi apparentemente slegati dal racconto e altre contraddizioni. Come l’anziano signore che attraversa i luoghi devastati dagli scontri fra polizia e manifestanti come l’aborigeno impassibile che, durante la Seconda Guerra Mondiale, incontra i soldati americani nella foresta di Guadalcanal, in “La sottile linea rossa” di Terrence Malick, ignorandone la pericolosità e finanche l’esistenza. Nell’episodio intitolato ironicamente “Super discount”, la telecamera di Giacomo Verde si sofferma lungamente su un manifestante no global che esce da un supermercato devastato e saccheggiato trascinando un pesante carrello pieno di ogni ben di dio. Mentre, nell’episodio “Non calpestare le aiuole”, il racconto di Verde si concentra sui manifestanti che strappano i fiori da alcune aiuole e li pongono pietosamente sul sangue rappreso lasciato sull’asfalto dal cadavere rimosso di Carlo Giuliani. E potremmo continuare.  “Solo limoni” assume comunque un tono rabbioso e malinconico, come se stesse raccontando la nostalgia per la fine di qualcosa di bello e di giusto (il movimento no global con i suoi sogni di cambiamento della società) e prefigurasse un futuro oscuro. In questo senso il mistero, svelato nel finale, della foto regalata a Giacomo Verde da un manifestante, che lo ritrae insieme ad una sua amica mentre si ripara dietro un albero dai lacrimogeni della polizia, assume un significato evocativo ed esplicito: la foto infatti richiama nei colori e nella composizione il famoso quadro di Masaccio “La cacciata dal paradiso terrestre”. 







In “Solo limoni” è evidente, inotre, un’altra caratteristica del particolare documentarismo di Giacomo Verde, e cioè l’azzeramento, o comunque la forte limitazione, della distanza fra realtà e osservatore, quella distanza su cui Verde aveva già riflettuto anni prima parlando della distanza tra il quadro e l’osservatore: “La distanza tra il quadro e l’osservatore non funziona più quando “tutti siamo nel quadro”. Tutti siamo parte del tessuto audiovisivo, del flusso sensoriale che caratterizza l’esperienza contemporanea: leggere l’opera vuol dire oggi leggere sé stessi”. Ed evitare un altro rischio dell’artista e dell’arte contemporanea, il rischio dell’’artista-zombie’ “che si nutre di organismi viventi, di eventi vitali e di vita reale per trasformarli in simulacri, rappresentazioni, feticci museali, cose senza vita, decorazioni, nature morte”. L’unica via di fuga per l’artista, come per il documentarista, rimane l’immaginario. Perché “le immagini trasmesse dalla televisione non sono quelle della realtà, ma quelle di chi vuole fissare per noi un punto di vista sul mondo (…) Nei media si tende ad utilizzare le immagini televisive come rappresentazioni del reale, non dell’immaginario”. Qui sta l’inganno, la manipolazione cui cerca di sfuggire Giacomo Verde. I suoi documentari non cercano mai di fissare nella mente dello spettatore un determinato punto di vista sulla realtà, ma semmai cercano di moltiplicare i punti di vista e dichiarano sempre esplicitamente la loro natura ibrida di realtà rappresentata, interpretata e immaginaria al tempo stesso. 
Anche in un documentario più classico nella forma come “S’era tutti sovversivi”, che racconta la storia di Franco Serantini, lo studente anarchico ucciso dalla polizia a Pisa durante una manifestazione antifascista il 7 maggio 1972 e, in filigrana, un periodo storico, il movimento del ’68 pisano con le testimonianze di molti dei suoi protagonisti, il tono disincantato e malinconico della narrazione, delle interviste e degli inserti audiovisivi di repertorio, viene in qualche modo ribaltato dal tono rabbioso e corrosivo delle musiche e dei suoni che la accompagnano e contrappuntano, con le canzoni di Paolo Pietrangeli, Caterina Bueno, Michele Straniero e Cesare Bermani. Mentre il montaggio non rinuncia agli ambigui incroci con la videoarte che donano al documentario un livello di interpretazione sotterraneo, profondo e misterioso, dove, forse, nel silenzio emblematico della riflessione, alberga il vero significato del film e degli avvenimenti che racconta, il non detto che rende “S’era tutti sovversivi” quanto mai attuale, nella sua accusa implicita contro una società ipocrita e violenta che sopprime i suoi figli migliori per mantenere ciecamente in vita un potere muscolare senza futuro e senza poesia che la conduce al disastro politico, morale e culturale. Cosa resta dunque di tanto pensare e agire, di tanta generosa ribellione alle lusinghe melmose del potere? Forse solo ciò che il potere ignora e che solo il popolo minuto riconosce come la vera ricompensa alle proprie sofferenze e delusioni, la creatività quotidiana, quelle piccole azioni e produzioni che rimangono nell’ombra dei media, quelle piccole/grandi lotte e insubordinazioni che hanno, come unica ricchezza, il profumo della libertà. Come il profumo dei limoni. 
“Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri
la nostra parte di ricchezza
Ed è l’odore dei limoni”
Eugenio Montale


Marcello Cella
















SOLO LIMONI
Documentario poetico sui fatti del G8 di Genova del 2001 
regia: Giacomo Verde
montaggio video: Fracesco Pera Turrini, Federico Carmassi
musica originale: Mauro Lupone
composizione video: Mauro Lupone, Uliano Paolozzi Balestrini, Elena Recchia, Giacomo Verde, Lello Voce
riprese video di: Giacomo Verde (giac), Teresa Paoli (ze) - Italy.IndyMedia - Uliano Paolozzi Balestrini, Pulika Calzini, Luca Tomassini, Tiziano, Lorenzo, Edoardo, Philippe, Vincent, Florence etc. - SocialPlus, Fluid video crew, Digipresse - Elena Recchia (bobò), Umberto Sebastiano, Francesco Villa - D.INK -
testi di: Giacomo Verde, Lello Voce, Patrick Chaamoiseaux, Miguel Cervantes de S.,Elio Pagliarani, Bertold Brecht, Piero Jahier, Roque Dalton, Elemire Zolla
voci fuori campo: Giacomo Verde, Lello Voce
foto di: Mirco Del Carlo
produzione: ShaKe Edizioni Underground, Reset, SeStessi Video
nazionalità: Italia
anno: 2001
durata: 44'35" 
S'ERA TUTTI SOVVERSIVI (dedicato a Franco Serantini) 
regia di Giacomo Verde 
durata: 56' / 
master: Betacam (girato in MiniDV) Pisa - Lucca, 
maggio 2002 
Produzione:
BIBLIOTECA FRANCO SERANTINI archivio e centro di documentazione di storia sociale e contemporanea Pisa / BFS EDIZIONI soc. coop. a r. l. 





Sito internet di Giacomo Verde: http://www.verdegiac.org




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