domenica 14 marzo 2010

Documentario "La Terra (E)strema", Ilaria Sposito e Antonello Mangano a Rebeldìa, giovedì 18 marzo alle 21,15


Giovedì 18 marzo 2010 alle ore 21.15 presso il centro sociale Rebeldìa in via Battisti 51 a Pisa verrà proiettato il documentario "La terra (E)strema" di Angela Giardina, Enrico Montalbano e Ilaria Sposito. Al termine incontro-dibattito con una delle autrici, Ilaria Sposito, e con Antonello Mangano scrittore e giornalista, autore del libro "Gli africani salveranno Rosarno (e, probabilmente, anche l'Italia)". Organizzano Gruppo Jagerstatter per la nonviolenza, Emergency Pisa, Rete Lilliput, Nodo di Pisa e Africa Insieme.

"Il racconto di "La terra (E)strema" si snoda dall'est all'ovest della Sicilia, sui territori delle grandi raccolte stagionali che vede come protagonisti grandi centri agricoli come i comuni di Alcamo, di Siracusa con il borgo di Cassibile, Pachino, Vittoria, Campobello di Mazara. E' u racconto delle "campagne" e dei soggetti che compongono la produzione e il sistema agricolo, soggetti che sono diventati invisibili ai più, al mondo urbano e metropolitano: il piccolo produttore, che diviene bracciante di sè stesso, e il bracciante straniero, che lavora per due soldi, nella maggior parte dei casi senza contratto, senza casa e costretto a ripiegare su un sistema di accoglienza ambiguo e simulatore. La dura giornata di lavoro dei raccoglitori stagionali che inizia all'alba e finisce al tramonto, si inserisce all'interno del quadro complesso della trasformazione del lavoro in agricoltura, in un sistema economico che piega i piccoli coltivatori, che sfrutta i lavoratori stagionali e che, come nelle migliori tradizioni, rende le grandi imprese sempre più irraggiungibili sul piano della competizione. Ma c'è qualcosa che rende "resistenti" le voci di questo film..." (dalla presentazione de "La terra (E)strema").

Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2010 Rosarno è balzata all’attenzione dei media per ben due volte. Sfruttati, ammassati in baraccopoli, emarginati e spesso aggrediti, in un crescendo di tensione e violenza i migranti lottano per il diritto al lavoro ma anche per quello alla vita. In un comune commissariato per infiltrazioni mafiose, la voce degli africani è l’unica a levarsi con forza contro le ’ndrine, e a far paura al sistema.

Il libro di Antonello Mangano è un’analisi storica ed economica che spiega come e perché siano proprio gli stranieri a reagire dove gli italiani si sono abituati ad accettare, vittime del racket e delle intimidazioni. Saranno gli immigrati a salvare Rosarno e forse l’Italia: “Non hanno un tetto, non hanno soldi, vivono in condizioni limite. Al Nord non trovano lavoro, ma un clima di razzismo. Al Sud la situazione è spesso disumana. Indirettamente, in modo forse non cosciente, la loro è una reazione alla mafia, a una situazione che la mafia contribuisce a produrre”. Una tesi coraggiosa, che spiega come le ribellioni di Rosarno siano soprattutto una lotta alla ’ndrangheta, che può dare la spinta a un Paese da troppo tempo rassegnato alla malavita.

"Pochi anni fa, nella primavera del 2006, Alfonso Di Stefano, che allora faceva parte della Rete Antirazzista Siciliana, ci dava brutte notizie da Cassibile, frazione a sud di Siracusa, ex borgo del marchese omonimo, e fiorente appezzamento di terra per la produzione di fragole e patate. Il 4 giugno veniva dato fuoco a uno degli accampamenti di fortuna dei braccianti stranieri, bruciate una ventina di tende, ma fortunatamente senza vittime. Le voci che ci giungevano parlavano di atti intimidatori per allontanare i sudanesi e i marocchini dal paesino, perché oramai la raccolta delle patate era finita. A Cassibile si radunavano diversi stranieri per lavorare alla raccolta stagionale in campagna, accampati un po' alla rinfusa sui terreni a ridosso del vecchio borgo, col consenso del marchese e assistiti dai volontari di Medici senza Frontiere; mal visti però da una parte dei cassibilesi urtati dai braccianti neri e nordafricani che si lavavano alla fontana della piazza al ritorno dai campi.
E' da qui che nasce l'idea del film La Terra (e)strema. Dall'ennesimo atto intimidatorio, come quelli che si ripetevano e tutt'ora si ripetono di anno in anno ad Alcamo per la raccolta dell'uva. E' la voglia di raccontare campo dopo campo le storie di nuovi nomadi, i nuovi braccianti, che da una stagione all'altra si muovono attraverso il sud Italia. Un sud che fa da mappa e calendario per
migliaia di migranti, che si spostano per raccogliere il minimo per la sopravvivenza in condizioni più o meno disumane, tra lavoro grigio e lavoro nero: in inverno in Calabria in primavera in Sicilia in estate in Campania e in Puglia e di nuovo a settembre in Sicilia. Un sud non solo che è campo alla frontiera con i suoi Cie e Cara, cioè con i suoi luoghi d'internamento, ma che diventa campo d'internamento a cielo aperto e senza filo spinato per chi ci vive, lavora e talvolta muore in quelle condizioni.
Il nostro sud, dove il salario dei braccianti al nero è andato negli anni al ribasso. Da una paga giornaliera di 45 euro si è arrivati anche a paghe di 12 euro e 50 centesimi al giorno o, come preferiscono metterla certi padroncini “25 euro per due”. L'avvicendarsi, ma più spesso il venirsi a sommare, di nuovi stranieri, con nazionalità diverse, sul mercato del lavoro in agricoltura ha fatto si che dai tunisini agli africani ai polacchi e poi ai rumeni e ai bulgari si arrivasse a paghe in nero tali da non giustificare forse più il progetto migratorio per il quale si era arrivati in Italia. Lo scorso autunno in un viaggio reportage dalla Sicilia alla Romania su pulman pendolari abbiamo incontrato molti uomini rumeni, lavoratori in agricoltura in Sicilia, che non sarebbero più ritornati indietro: non valeva più la pena. Loro l'hanno potuto fare. Ma ormai in una sorta di circolo vizioso, la paga per 10-12 ore di lavoro si attesta sui 20-25 euro, e non solo perché c'è di mezzo la 'ndrangheta in Calabria o la mafia in Sicilia, ma anche perché tutto il mercato è in mano alle 4-5 grandi catene di distribuzione che decidono il prezzo per tutti. Non ha importanza il costo di un grappolo d'uva o di
un chilo di pomodoro, la grande distribuzione lo compra a quel prezzo. La questione è ovviamente molto più complessa e bisognerebbe fare dei distinguo per il Sud dove gli agricoltori e i piccoli produttori non hanno saputo trovare forme di organizzazione tali da consentirgli la sopravvivenza, dove per molti anni i piccoli produttori hanno costruito la loro ricchezza sull'agricoltura come
seconda attività e tutt'oggi pretenderebbero di mantenere quegli standard a spese di braccianti stranieri pescati all'alba nella piazza del paese, tanto “a loro 25 euro bastano e avanzano”. Di tutto questo parla il nostro film “la terra (e)strema”. Un racconto che si snoda dall'est all'ovest dell'isola, sui territori delle grandi raccolte stagionali, che vede come protagonisti grandi centri agricoli come i comuni di Alcamo, di Siracusa con il borgo di Cassibile, Pachino , Vittoria, Campobello di Mazara. E' un racconto delle “campagne” e dei soggetti che compongono la produzione e il sistema agricolo, soggetti che sono diventati invisibili ai più, al mondo urbano e metropolitano: il piccolo produttore che diviene bracciante di se stesso, e il bracciante straniero, che lavora per due soldi, nella maggior parte dei casi senza contratto, senza casa, e costretto a ripiegare su di un sistema di accoglienza ambiguo e simulatore. La dura giornata di lavoro dei raccoglitori stagionali che inizia all'alba e finisce al tramonto, si inserisce all'interno del quadro complesso della trasformazione del lavoro in agricoltura, in un sistema economico che piega i piccoli coltivatori, che sfrutta i lavoratori stagionali e che, come nelle migliori delle tradizioni, rende le grandi imprese sempre più irraggiungibili sul piano della competizione.
Nel prologo del film il musicista Sebastiano Marino racconta la leggenda di Acqua di Cielo, storia la sua, che va a finire a 'patate'... un modo per dire, in siciliano, il niente, il nulla. E il nulla o niente sembra essere quello che trovano molti protagonisti di questo documentario sul mondo dell'agricoltura e della sua trasformazione in Sicilia. Ma c'è qualcosa che rende 'resistenti' le voci di questo film..."
Ilaria Sposito

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