giovedì 18 marzo 2010

Gli africani salveranno Rosarno, Italia? Cronache dal Sud del Sud del mondo attraverso un libro e un documentario

Gli africani salveranno Rosarno, Italia?

Cronache dal Sud del Sud del mondo attraverso un libro e un documentario


Antonello Mangano, giornalista autore del libro “Gli africani salveranno l'Italia” (già “Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l'Italia”) sarà alle 17.30 al Polo Carmignani in Piazza dei Cavalieri per un incontro-dibattito organizzato dai Collettivi studenteschi e preceduto dalla proiezione del documentario “Il tempo delle arance” di Nicola Angrisano. Mentre alla sera, alle 21.15, presso il centro sociale Rebeldìa in via Battisti 51, parteciperà, insieme alla videomaker Ilaria Sposito, ad un'iniziativa organizzata da Emergency, Gruppo Jagerstatter per la nonviolenza e Rete Lilliput all'interno della quale verrà proiettato in anteprima il documentario “La terra (e)strema” di Enrico Montalbano, Ilaria Sposito e Angela Giardina.


Quanto costa il cibo che portiamo in tavola ogni giorno? Cosa c'è dietro certi prezzi dei prodotti agricoli che compriamo ogni giorno nei mercati rionali, ma ancora di più nei supermercati della grande distribuzione? Quanto sangue, quanta disperazione, quanto sfruttamento, quante vite buttate via ci sono nei pomodori, nelle arance o nelle patate che rallegrano le nostre cucine? Questo potrebbe essere il sottotitolo delle iniziative cui parteciperà oggi a Pisa Antonello Mangano, autore di un piccolo libro importante, “Gli africani salveranno l'Italia”, balzato agli onori delle cronache non tanto per la sua indubbia qualità, ma per il tema di cui si occupa, lo sfruttamento degli immigrati stranieri nell'economia agroalimentare della Calabria, esploso sui media dopo i tragici fatti di Rosarno e la rivolta dei lavoratori migranti africani contro i soprusi delle mafie locali. Un libro che non è solo la cronaca di un problema sociale che attraversa il sud Italia (e non solo) da almeno una ventina d'anni, anche se invisibile all'opinione pubblica resa spesso cieca e sorda da un'informazione che non racconta i fatti o che produce narrazioni che non informano, ma che costituisce anche uno specchio deformato di cosa sta diventando oggi l'Italia. Non solo il sud, non solo Rosarno. Il microcosmo di Rosarno, una piccola cittadina calabrese apparentemente marginale, assume infatti nel racconto di Mangano il ruolo emblematico di una scena teatrale in cui sono riprodotti in piccolo tutti gli attori che popolano la scena mediocre e violenta dell'Italia di oggi. Un teatro in cui sono ben rappresentati e riconoscibili in modo, a tratti, perfino didascalico gli oppressori e gli oppressi, chi sfrutta e chi è sfruttato, chi spara e chi viene sparato, le motivazioni per cui lo fa o lo subisce, senza dimenticare però il contesto economico globale che sta sullo sfondo, ma che è il vero deus ex machina del set da film western che si chiama Rosarno, Italia. Con i pistoleri pagati dai poteri politico-economico-affaristici mafiosi che controllano il territorio per seminare il terrore fra i poveri braccianti stranieri che devono sottostare alla legge del più forte, subire le vessazioni più umilianti. Finchè non ce la fanno più, la misura è colma e la classica goccia che fa traboccare il vaso innesca la loro ribellione. Questo copione che potrebbe essere benissimo quello di un film western di Sergio Leone o di Sergio Corbucci è ciò che attraversa le pagine del libro di Mangano che ha il grande merito di non limitarsi all'analisi dello stato di cose presenti, ma di evocare anche quel sud, dimenticato troppo in fretta e messo a tacere, spesso per sempre, che ha lottato nel corso del tempo contro quel potere affaristico-mafioso che ha impedito il suo equilibrato sviluppo sociale, economico e culturale soffocandolo nell'illegalità e nel privilegio. Nell'illegalità del privilegio. Un Sud resistente che forse riuscirà a rialzare la testa e a riacquistare la propria dignità con l'aiuto di quei giovani neri, che molti italiani indegni vorrebbero utilizzare solo per perpetuare nel tempo il dominio della propria ricchezza volgare e ignorante. Come le cose abominevoli che alcuni rosarnesi raccontano con indifferenza e soddisfazione alla telecamera di Nicola Angrisano nel documentario “Il tempo delle arance”, prodotto proprio nel gennaio di quest'anno, a ridosso della rivolta dei lavoratori migranti. Mangano racconta tutto ciò con un linguaggio veloce ed efficace in cui si mischia la sintesi nervosa della cronaca, la rabbia dell'impegno civile, l'analisi dello storico, e la maestria del narratore che con pochi tratti essenziali sa disegnare un paesaggio storico, umano e sociale in cui si concentrano tutte le contraddizioni violente e le ambiguità vischiose della nostra epoca. Un mondo contemporaneo che recita a soggetto sulle scene della cronaca, ma che viene da lontano.

Lontano come l'antica leggenda di Acqua di Cielo che un musicante e attore come Sebastiano Marino racconta all'inizio di “La terra (e)strema”, documentario realizzato a sei mani da Angela Giardina, Enzo Montalbano e Ilaria Sposito e che presto sarà allegato alla rivista Carta. Storia di sogni e illusioni vendute a basso prezzo e pagate molto care, con la vita, da chi si è fatto convincere che dall'altra parte del mare la pesca fosse più buona e la vita più facile e che per questo inganno ha perso tutto, anche sé stesso, prima di accorgersi che tutto era “andato a patate”, cioè in niente, secondo una colorita espressione siciliana. “La terra (e)strema”, ci racconta di un altro microcosmo, al di là dello Stretto di Messina, quello della zona dei grandi centri agricoli compresi fra i comuni di Alcamo, Siracusa, con il borgo di Cassibile, Pachino, Vittoria, Campobello di Mazara dove avvengono le grandi raccolte stagionali. Un viaggio che attraversa trasversalmente da est a ovest la Sicilia e che parte dall'immaginario così ricco e avvolgente della sua cultura per arrivare ad un oggi fatto di sfruttamento del lavoro migrante, ma anche di sfruttamento violento ai danni dei piccoli e medi agricoltori, ridotti spesso in povertà e strangolati economicamente dai prezzi imposti dalla grande distribuzione alimentare che li costringe ad adattarsi, e quindi a sfruttare ferocemente i lavoratori stranieri, oppure a chiudere l'attività. Un meccanismo spietato che non prevede il rispetto di storie e culture, ma solo la sopraffazione del più forte sul più debole. Anche in questo caso una specie di Far West dove nessuno degli attori sulla scena vince ma tutti soccombono, un gioco truccato dove nessuno dei giocatori vince perchè vince sempre il banco che però non sta sulla scena dove scorrono sangue e lacrime, ma dietro le quinte rispettabili dei salotti buoni della finanza e dell'economia (criminale).

C'è una frase di una delle persone intervistate che colpisce molto ad un certo punto di “La terra (e)strema” e riguarda il comportamento dei siciliaani nei confronti dei lavoratori stranieri. Dice infatti l'intervistato che gli anziani li trattano sempre con rispetto perchè ricordano quando loro stessi facevano la loro stessa vita in qualche altra terra straniera qualche decennio fa. Poi c'è una fascia d'età intermedia che oscilla fra l'indifferenza e il fastidio. Quindi i giovani che non sanno nulla né della storia dei lavoratori migranti, né della propria e che sono i più intolleranti. Un vuoto di memoria a cui si potrebbe idealmente contrapporre la scena in cui un lavoratore maghrebino prepara con meticolosità e gentilezza il thè, probabilmente l'unica cosa che possiede, in un accampamento improvvisato e lo serve ai suoi ospiti italiani. Un'antica consuetudine contro un vuoto di memoria e di identità che può generare mostri.

Confrontando le due scene di questo documentario oppure le parole piene di dignità e di indignazione civile dei lavoratori migranti rispetto a quelle violente e vuote degli italiani del documentario “Il tempo delle arance”, viene davvero voglia di dare una risposta positiva al titolo del libro di Antonello Mangano, “Gli africani salveranno l'Italia”. Si, gli africani, e anche tutti gli altri lavoratori immigrati che colorano le strade delle nostre città di nuove sfumature e di nuovi suoni, salveranno l'Italia. Sono davvero la nostra ultima possibilità di restituire dignità al cumulo di macerie morali e materiali della disastrata Rosarno in cui si è trasformata il nostro Paese.

E se anche proprio non riusciranno a salvarci, almeno non ci lasceranno soli a combattere contro le mafie politiche e criminali che ci governano e a morire di noia nella mediocre e volgare Italietta berlusconiana.



Marcello Cella


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